Belle Da Morire

Belle Da Morire
Belle Da Morire

Nel 1992 Riccardo Sesani dirige Belle Da Morire. Esattamente 10 anni dopo, Bruno Mattei dà corpo (parecchi corpi, a dirla tutta....) ad un'opera omonima. Spesso confusi, o considerati uno il seguito dell'altro, i due film in realtà non hanno nulla a che spartire, se non il titolo, per altro assolutamente azzeccato nel caso di Sesani, tant'è che la pseudo corrispondenza titolo/trama è probabilmente la miglior cosa da segnalare riguardo a questa sciancata produzione. Un sequel in effetti esiste, alla pellicola di Mattei però, ed è pure un finto sequel, ma quella è un'altra storia. Rimaniamo a Sesani il quale suppergiù, a questa altezza di carriera, è a metà della sua produzione, oramai abbastanza indirizzato sull'erotismo soft (Belle Da Morire sta a panino tra il precedente L'Ultima Emozione con Valentine Demy ed il successivo Un Caso D'Amore con Marina Giula Cavalli); su soggetto e sceneggiatura di Riccardo Ghione, il regista riminese sviluppa un gialletto un po' thriller un po' sexy, che risente (al ribasso) degli ultimi scampoli di eco argentiane, soprattutto per quanto attiene alla costruzione motivazionale ed estetica dell'assassinio e del suo modus operandi. Sul versante erotico è tutto assai parco e misurato. Il film parrebbe promettere parecchio di più di quanto concretamente poi realizza, almeno sul versante lingerie e carnazza.

C'è un'Adriana Russo che si avvia al tramonto, ma che tutto sommato regge dignitosamente la parte (della moglie ricca e sbertucciata da un marito latin lover); c'è un Michael Reale - aka Fulvio Reale Di Virgilio - accreditato come Brian Peterson, e credetemi, si fa fatica a trovare online il suo nome collegato a questo film, quasi a volerlo tenere il più possibile lontano da un titolo che certamente non deve averlo reso particolarmente orgoglioso. Lui è il protagonista, un faccendiere impresario teatrale che si incarica di testare personalmente le aspiranti candidate agli allestimenti che vanno in scena (opere liriche), non limitandosi a quelle, ma seguendo il motto per il quale "ogni lasciata è persa", ma anche "basta che respirino". Succede però che puntualmente, le sue amanti vengano assassinate da qualcuno che evidentemente lo perseguita. C'è un maniaco stalker in circolazione; le ipotesi sono tante, una meno credibile dell'altra, compresa la soluzione del giallo, buttata lì senza né capo né coda. Uno di quei casi in cui effettivamente lo spettatore fa fatica a decriptare l'arcano, non tanto però per la bravura dello sceneggiatore nel dissimulare le prove, quanto per l'assoluta casualità ed astrusità della identità dell'omicida. Ad un certo punto sembra che il film debba finire e allora in quattro e quattr'otto si trova il colpevole, anzi...un colpevole. Bon, titoli di coda.

La cornice lirica conferisce al film un'aurea vagamente pretenziosa, che stride completamente invece con la sostanza cheap e sciatta della vicenda. Personaggi e dialoghi sono al minimo sindacale. Tutto è estremamente stereotipato, scontato, piatto. Quando ti riduci ad addurre come motivo di interesse di un film del 1992 la presenza di Carmen Di Pietro (all'epoca veramente notevole, ancora non restaurata), beh... ogni altro commento diventa superfluo. Un film brutto, semplicemente brutto, svogliato e superficiale in ogni suo aspetto. Ne dico uno a caso: il suicidio di Gabriella Barbuti che si getta dal terrazzo di un palazzo. Viene ripresa e mostrata tutta la caduta (impatto a terra compreso) di un manichino con le sembianze della Barbuti; evidentemente un manichino, che cade come un manichino e si schianta a terra come un manichino. Non c'è neppure lo 0,1% di probabilità che il pubblico possa scambiare quel tronco di stoffa per un corpo umano, e allora perché mostrarlo? Perché insistere su quel dettaglio in modo così pedante? Non si poteva glissare passando dal terrazzo all'asfalto e dispensando il pubblico di una bruttura così plateale? E dello staff della giudicessa inquirente Fabiola Toledo, interamente composto di bagnini ventenni abbronzati e pettinati dal coiffeur di Den Harrow, ne vogliamo parlare (tra questi pure Antonio Zequila) ? Non saprei cosa salvare di Belle Da Morire; l'idea che le amanti di Reale fossero così "belle da morire" poteva essere a suo modo genialoide, ma non succede manco quello perché onestamente di bellezze travolgenti qui non se ne vedono. Giusto un po' di epidermide in libertà avrebbe potuto minimamente riabilitare il film, ma Sesani per scelta o per timore censorio si trattiene alquanto, e allora si finisce con lo sbadiglia e basta.

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