Belfast

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Sette nomination agli Oscar, comunque andrà quella notte alla Academy Kenneth Branagh avrà già stabilito un suo personale record e forse vedrà riconoscersi meriti, stima ed apprezzamento anche da coloro che sin qui ancora non gliene avevano tributati a sufficienza. Ho avuto la fortuna di scoprirlo e seguirlo sin dagli esordi con lo splendido Enrico V (1989), di cui era regista ed interprete, una sfida inaudita lanciata da un irlandese a Laurence Olivier prima ancora che a Shakespeare, conclusasi tra gli applausi scroscianti. Fino al 2006 la carriera di Branagh è stata costantemente accompagnata da riferimenti shakeaspeariani, anche se a partire dai 2000 le sirene di Hollywood hanno cominciato a tentarlo, facendolo deragliare di tanto in tanto (come attore) sui binari di filmetti mediocri (Wild Wild West) o meramente commerciali (Harry Potter). Branagh tuttavia rimane un cineasta di razza, eccellente tanto come interprete che come autore e anche a distanza di oltre 30 anni dal suo primo ciak la sua vena potente, poetica e aggraziata non accenna a prosciugarsi. In questo primo scorcio del 2022 è addirittura in sala con due titoli, entrambi appetitosi, il secondo capitolo di Agatha Christie (Assassinio Sul Nilo) e Belfast, un sentito omaggio alla sua città natale ed alla sua storia travagliata. Sono tristemente noti i circa 30 anni di guerriglia nord irlandese che ha visto contrapposti cattolici e protestanti, nazionalisti ed unionisti, i giorni dell'Ira, dei militari nelle strade britanniche e dei fratelli che uccidevano i fratelli. In un simile contesto sanguinario Branagh ambienta la vicenda di una famiglia che non identifica nemmeno per cognome, potendo trattarsi di una vicenda universale irlandese e, più prosaicamente, potendo addirittura contenere degli evidenti riferimenti autobiografici, sebbene il bimbo protagonista del film non sia espressamente riferibile al regista. Buddy (Jude Hill) frequenta la scuola, ha una simpatia per la bambina del primo banco, gioca in strada con gli amici del quartiere, adora i suoi genitori ed i nonni, ed ha un timore reverenziale per il pastore che ogni domenica in chiesa dipinge scenari foschi ed apocalittici che ci attendono in punto di morte. Nella sua vita deflagra improvviso il conflitto etnico-nazionalista, una contrapposizione più grande dei suoi nove anni che non gli fa comprendere perché i suoi vicini di casa o la bella bimba bionda del primo bianco debbano essere perseguitati e cacciati da Belfast come fossero dei topi portatori di peste. La sua stessa famiglia è minacciata, benché protestante, per il solo fatto di avere un padre che intende rimanere neutrale e non accompagnarsi agli odiatori ed ai violenti senza causa.

Il tocco di Branagh è lirico ed elegiaco, confeziona un film di grandissimo romanticismo pur ambientandolo tra fucili, tute militari, filo spinato, ruote cingolate e bombe molotov. L'intenzione che traspare è quella di raccontare come la follia tipicamente umana del conflitto e della violenza non riescano a piegare fino in fondo la vita e lo sguardo positivo e luminoso ad essa. In qualche misura è l'ottica di La Vita E' Bella di Benigni, sebbene sideralmente più gradevole ed elegante da un punto di vista formale. Branagh fa un uso delle musiche ossessivo, che accorrono sistematicamente a salvare lo spettatore dall'angoscia e dalla paura, Van Morrison è una sorta di pompiere che si precipita a sedare qualsiasi palude emotiva nella quale lo spettatore possa rimanere avviluppato per offrirgli una ponte dorato verso la sollevazione dell'anima e dello spirito. "Nonostante tutto" si può vivere, si può gioire, si può amare, si può andare avanti, sperare e fantasticare. Buddy lo fa, pur avendo paura e ritrovandosi in situazioni pericolose. Belfast anche in quegli anni non è stata solo sangue, sembra volerci dire Branagh, c'è stato molto di più. La fotografia del film è stupenda, aiutata dall'atmosfera magica di una città della quale è impossibile non innamorarsi e da un bianco e nero cucito su misura per questo racconto. Branagh tuttavia ricorre anche al colore in pochi momenti mirati; il colore è la cornice della storia (inizio e fine) e si presenta anche "durante", ogni qual volta vediamo la narrazione dentro la narrazione (dunque cinema e teatro dentro il film). Il cinema è un incantesimo, è fuga dalla realtà, ergo il cinema è il colore che si libra sopra il grigio di una vita drammatica. Deliziosi i riflessi dorati sugli occhiali di Judi Dench quando assiste alla rappresentazione de Il Canto Di Natale di Dickens. E delizioso è anche il rimando metacinematografico al western, una frontiera che non può non ricordare Belfast in quei giorni, è che infatti attentamente Branagh riproduce per le strade percorse da Buddy e dalla sua famiglia.

Ogni interpretazione è investita di una intensità pazzesca, a cominciare da quella di Caitriona Balfe (la madre di Buddy), passando dai nonni (Ciarán Hinds e la Dench), fino allo stesso Jude Hill, un viso da morsi e da schiaffi, impertinente, candido, di una simpatia innata e genuina. Non molti giorni fa ho visto Occhiali Neri di Dario Argento, anch'esso con un bambino tra i protagoinisti e beh... solitamente i piccoli attori sono croce e delizia di un film, o va a finire benissimo con una Judy Garland, un Macaulay Culkin del caso, oppure la difficoltà di indirizzare dei "non attori" crea enormi danni al film. Branagh ne esce trionfatore. La luce del suo faro non punta monotematicamente la guerra in Irlanda, la tange perché era inevitabile farlo e perché è parte della storia che intende raccontare (i ricordi ci definiscono e "ci rendono ciò che siamo", dice la locandina), ma non ne è la ragione sociale; "serve" a Branagh per raccontare altro, per mettere in scena la voglia di vivere, di farcela, la resilienza, per onorare chi ne è scampato e abbracciare chi si è "perso" in quel buio, come le didascalie spiegano alla fine della pellicola. La messa in scena è grandiosa, Branagh adotta tante soluzioni che donano estremo dinamismo e vitalità al film, un regista finissimo dotato di classe e gusto autentici e, al contempo, dal tocco lieve e poetico. Credo che l'Oscar 2022 sarebbe più che meritato.

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