Al suo terzo film da regista l'ex fighetto Ben Affleck ha affondato subito il colpo al centro del bersaglio. Oscar. Ha fregato la statuetta allo Spielberg di Lincoln, per dire, mica pizza e fichi. Per certi versi due film equiparabili, quanto a patriottismo e conseguenti accuse di patriottismo. Più istituzionale e didascalico quello di Spielby, più di pancia il secondo. Il film inizia proprio con una specie di bignami a fumetti della storia dell'Iran, paese con il quale gli Usa hanno sempre avuto un "certo" rapporto (come con l'Iraq, come con l'Afghanistan, come con parecchi altri posti). Già da lì inizia la querelle su quanto Affleck lisci il pelo all'Amerika col K. E quanto ce ne frega a noialtri? Zero meno zero fratto zero elevato alla zero; al solito, non pensavo di leggere un manuale di storia guardando Argo, ma solo di vedere un film. Che poi la stessa storia raccontata dagli iraniani non è che mi darebbe più affidamento eh. Naturalmente alla critica iraniana il film non è sembrato esattamente un capolavoro, tuttavia non è che in quegli anni l'Iran fosse proprio proprio un'amena metà di villeggiatura per occidentali, ecco.
Fatto sta, Affleck, alla maniera di Eastwood, predilige una totale asciuttezza del racconto, molto compito, sobrio, misurato, gli argomenti sono quelli, quindi impossibile non lambire il sacro fuoco del patriota, ma non c'è un intento deliberato di fare agiografia, i fatti vanno in quella direzione da sé, e Affleck nemmeno ci calca troppo la mano. Ho davvero apprezzato la razionalità e la sobrietà con la quale dirige la storia, attentissima per altro a replicare ogni particolare che contribuisse a creare la giusta atmosfera di quel periodo, quindi arredi, esterni, auto, architetture (ma nonostante ciò, sono state levate accuse di inaccuratezza storica). Dentro ci sono persino canzoni di Van Halen, Dire Straits, Led Zeppelin, Rolling Stones. Come è noto la vicenda trae spunto da documenti che sono stati secretati per un bel pezzo, e che vertono sul cosiddetto "Canadian Carper", una manovra di collaborazione internazionale tra States e Canada per trarre in salvo 6 diplomatici americani prigionieri in Iran nel 1979 e a rischio di morte quasi certa. Fulcro dell'operazione è Tony Mendez (Affleck), taciturno "estrattore" di vittime da situazioni del genere. Architetta un piano talmente assurdo da diventare credibile e, nonostante i superiori, porta a compimento la missione e salva i suoi connazionali.
Il cast di corredo ad Affleck è molto buono, a tutti i livelli (menzione a parte però per John Goodman e Alan Arkin, una coppietta che manco i vecchietti dei Muppets), ed il film si fa senz'altro apprezzare. Non so quanto questo sia stato un Oscar dei più "pesanti", nel senso che in molti si sono affrettati a dire che in altri momenti e magari con altri concorrenti un film come Argo sarebbe rimasto "solo" un buon film ma non avrebbe mai potuto aspirare all'Oscar. Può darsi sia vero, può darsi di no, però fa abbastanza impressione che uno che fino a ieri era conosciuto più che altro per essere il ganzo di Jennifer Lopez, e che in carriera (d'attore) 'sti gran film non li ha certo girati, riesca appena al secondo tentativo a costruire una storia così ben bilanciata. Non deve essere stato facile nemmeno mantenere lucidamente il doppio registro del film nel film (Argo è il titolo della finta produzione messa in piedi da Mendez per arrivare a liberare i diplomatici). Dice: "ma gli americani se la suonano e se le cantano"; vabbè, ci risentiamo quando i servizi segreti italiani finiranno sui giornali per un'operazione di intelligence del genere, anziché per le cazzabubbole che combinano.