I Banchieri Di Dio

I Banchieri Di Dio
I Banchieri Di Dio

In principio fu il caso Calvi, la cronaca nera italiana. Poi fu il libro di Mario Amerighi. Quindi l'adattamento di Giuseppe Ferrara, già rodato tramite pellicole sul Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa (Cento Giorni A Palermo), Aldo Moro (Il Caso Moro), Giovanni Falcone (Giovanni Falcone), documentari sulla mafia e il narcotraffico sudamericano. Quello che si suol chiamare un regista impegnato, ed anche con I Banchieri Di Dio Ferrara non perde l'abitudine di andare a pescare nei labirinti più bui del complottismo italico, quel sottobosco nel quale politica, massoneria, servizi deviati, criminalità organizzata, finanza patologica e molti altri attori agiscono nell'ombra per spartirsi fette di potere e controllo. Ferrara compulsa una mole di materiale enorme, come del resto è enorme la storiografia e l'aneddotica sul caso Calvi, a partire dalla morte di Michele Sindona mediante caffè al cianuro in carcere a Voghera il 22 marzo 1986, a ritroso fino a quella di Calvi sotto il ponte dei Frati Neri sul Tamigi il 18 giugno 1982. Inizialmente si parla di suicidio, le autorità britanniche non sciolgono il dubbio e ancora oggi quella vicenda è una palude oscura di "vorrei ma non posso", anche se non credo sia rimasto più nessuno sinceramente convinto che Calvi non sia stato ammazzato, molto probabilmente per interessi convergenti di varie fazioni. A complicare il tutto si aggiunge un profilo di primissimo piano ed estremamente delicato, quello del Vaticano nella figura dell'arcivescovo Marcinkus, e di Papa Giovanni Paolo II che si spese in ogni modo per far arrivare sostentamenti economici a Solidarność nella sua lotta contro la dittatura comunista. Ma quei soldi esattamente di chi erano e da dove venivano?

Ferrara cerca di apparecchiare come può una vicenda che è talmente densa di personaggi, fatti, trame e sottotrame da risultare pressoché impossibile da comprimere in appena due ore. E' faticosissimo seguire il dipanarsi degli eventi, soprattutto nella prima metà del film. La ridda di nomi, polarità e interessi in gioco, rappresentati da mille esponenti, rende il susseguirsi dei fotogrammi farraginoso da una parte ma anche estremamente frenetico, perché Ferrara cerca di trovare spazio per tutto e per tutti, comprimendo al massimo la narrazione. Il tono generale del film poi, un po' da cinema di genere, non aiuta moltissimo. C'è un senso di sommarietà, di approssimazione, come se il film cercasse di sbrigarsi il più possibile a correre verso il finale, ma ripeto era un ostacolo che inevitabilmente Ferrara doveva fronteggiare nel tentativo di affrontare complessivamente tutta la questione Calvi con annessi, connessi, prodromi e conseguenze, senza tralasciare niente. Il film esplode di personaggi e certe caratterizzazioni non sempre sembrano a fuoco. Quella di Camillo Milli che fa Licio Gelli ad esempio è ai limiti del macchiettismo, nonostante una notevole somiglianza fisica. Giancarlo Giannini sembra di passaggio, impiegato come altre volte gli è capitato di fare in in film "alimentari" ai quali ha partecipato senza troppa convinzione. Anche Alessandro Gassmann, qui giovanissimo, non pare trovare la sua dimensione. Forse la peggior interpretazione però è quella di Pamela Villoresi (senza nulla togliere alla statura dell'attrice), ovvero Carla, la signora Calvi. Il suo personaggio è petulante, stralunato, francamente troppo sopra le righe. Rutger Hauer trasforma il suo Marcinkus in un gangster, cosa che probabilmente magari era anche, però Hauer spinge troppo contribuendo al tono un po' facilone del racconto. Il Papa non viene mai inquadrato frontalmente, ma solo di spalle, una scritta in sovraimpressione ci avvisa che ciò è stato fatto in segno di rispetto. Francamente una scelta curiosa. Ottima invece la prova di Omero Antoniutti nei panni di Calvi, molto credibile sia nella forma che nella sostanza, Antoniutti cattura e restituisce a chi guarda la stessa anguillosa imperscrutabilità del banchiere.

La produzione del film fu molto sofferta, con finanziamenti a singhiozzo, poca disponibilità, interferenze della magistratura, denunce da parte di Flavio Carboni (il faccendiere interpretato da Giannini) che costrinsero Ferrara a corredare parti di film con didascalie che contestualizzano e spiegano, e che sono letteralmente tratte dalle carte processuali. I Banchieri Di Dio è dedicato alla memoria di Gian Maria Volonté, attore al quale Ferrara aveva anche pensato per il ruolo da protagonista all'indomani de Il Caso Moro, ma che morì nel 1994. Così come Gene Hackman sarebbe dovuto essere Marcinkus. L'uscita in sala non premiò l'opera, poiché non venne accolta granché bene dal pubblico, evidentemente poco voglioso di perdersi nei meandri del malaffare italiano e certamente ancor meno invogliato da una pellicola che, al netto della sua fisiologica tortuosità, non è esente da difetti. La critica si approcciò a I Banchieri Di Dio in modo altrettanto freddo. Rimane agli atti come l'unico (encomiabile) tentativo di apparecchiare la materia Calvi in modo esaustivo e senza infingimenti - il Vaticano, il governo italiano, vari poteri e potentati nazionali non ne escono affatto bene - pur con tutte le difficoltà del caso.

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