The Post

The Post
The Post

Come un adolescente fan della sua popstar del cuore, al primo spettacolo del primo giorno di programmazione in sala mi sono precipitato a vedere The Post, pellicola numero 31 dell'ultra settantenne Steven Spielberg, attivissimo più che mai visto che, ad appena un'anno di distanza dal GGG, nel 2018 vedremo due sue pellicole, questa e Ready Player One, (più il nuovo capitolo di Jurassic World, prodotto da Spielberg), mentre già si parla dei suoi ulteriori imminenti progetti, ovvero un remake di West Side Story ed il quinto capitolo di Indiana Jones. Steven Stakanov Spielberg non vuole mollarci un attimo e per quanto mi riguarda la sua propensione al lavoro è una gran cosa finché la qualità rimane questa.

The Post, come è noto, narra le vicende altrimenti note come Pentagon Papers, una Wikileakes datata 1971 riguardante le menzogne dette dai vari Presidenti e governi americani in merito alla guerra in Vietnam. In sostanza lo zio Sam aveva capito con parecchio anticipo che il conflitto sarebbe stata persa ma ciò nonostante ha continuato imperterrito a mandare i propri ragazzi in quelle giungle, al massacro, adducendo motivazioni di "ripristino della democrazia" ma in realtà terrorizzato dalla brutta figura che la celebrazione di una sconfitta avrebbe causato. Un osservatore sul campo del Segretario della Difesa Robert Macnamara, testimone diretto della disfatta, trafuga documenti interni e top secret che avvalorano la tesi della consapevolezza del Governo sui pessimi risultati conseguiti in Vietnam. Questi documenti vengono dapprima pubblicati dal New York Times, quindi ripresi dal Washington Post quando al Times viene legalmente intimato di non proseguire con la pubblicazione, pena la galera. Allo sconcerto per le rivelazioni si somma l'indignazione pubblica per la censura di Stato che si vuole imporre alla libera stampa. Come è andata a finire lo sappiamo, "la stampa deve servire i governati non chi governa", e con questa sentenza storica la Corte Suprema scagionò i giornalisti e di fatto dette ulteriore pendenza allo scivolo che portò al crollo di Nixon (all'epoca Presidente), causato dal successivo scandalo Watergate.

Spielberg incentra la pellicola su due figure chiave, il direttore del Post Ben Bradley (Tom Hanks) e la sua editrice "per caso" Kay Graham (Meryl Streep), divenuta tale alla morte (per suicidio) del marito. Il film parte in sordina, i primi fotogrammi ci portano in Vietnam ed io mi aspettavo un incipit bombardiero e urticante, alla Salvate Il Soldato Ryan. Invece Spielberg opta per una chiave diametralmente opposta, understatment, pacata, sommessa, propedeutica; perché il film è tutto in crescendo, esplode verso la metà, un po' come accaduto con Il Ponte Delle Spie, riferimento più prossimo a The Post, non solo per contiguità cronologica ma anche e soprattutto stilistica. The Post è (nuovamente) cinema classico, nel senso più alto e puro del termine, affidato a tre mostri sacri rispondenti ai nomi di Spielberg, Hanks e Streep (pur essendo, a suo modo, un film corale). La Streep in particolare meriterebbe a mio avvisto l'Oscar a cui è stata candidata per questo personaggio. Pesantissimo il suo ruolo, ho difficoltà ad immaginare un'altra attrice che avrebbe potuto e saputo reggerlo con spalle altrettanto larghe e d'esperienza. Alcuni passaggi tolgono il fiato, come il dialogo intimo con la figlia riguardo alle scelte di una intera vita o il drammatico confronto con il suo consiglio di amministrazione e Ben Bradley, la notte che deve essere deciso se pubblicare o meno i Pentagon Papers. La Graham è una ragnatela di fragilità, insicurezze, paure, orgoglio e senso di giustizia e la Streep rende in maniera magnifica la complessità del personaggio, forse soltanto lievemente penalizzata dal doppiaggio di Maria Pia Di Meo (stavolta più lagnosetto del solito). Impressionanti anche le somiglianze fisiche dei vari attori della storia, redattori del Post compresi.

Hanks fa Hanks, titanico, tuttavia è un po' il suo ruolo; senza nulla togliere alla sua maestria, la Streep è una spanna sopra. Eccellente l'ambientazione, la fotografia, le musiche (ennesimo film commentato dai suoni di John Williams), i costumi. Scoppiettante la sceneggiatura, intensi i personaggi. Si è scritto che Spielberg ha sovradimensionato il ruolo del Post rispetto a quello del Times, vero "protagonista" della battaglia dei Pentagon Papers, ma in effetti nel film il Times non viene affatto sminuito, è semplicemente che il punto di vista scelto è quello del Post, il microscopio è puntato lì, ma rimane abbastanza chiaro che il Post raccolga il testimone dal Times arrivato prima e meritevole del riconoscimento dovuto. Da un certo punto in poi i due quotidiani concorrenti diventano alleati, giocoforza, compattati da Nixon e della sua arroganza.

In sala ero lo spettatore più giovane, ma di una ventina d'anni almeno. Questa cosa mi ha fatto riflettere. E' vero che si parla di eventi che gli spettatori più anziani presenti in sala hanno vissuto di persona, contrariamente al sottoscritto, tuttavia mi ha fatto pensare che il cinema "classico" di Spielberg venga in realtà letto da molti come "vecchio", antiquato, demodé. Anzi il termine più frequentemente associato a Spielberg è "retorico", perché non infarcisce i suoi fotogrammi di visioni lisergiche alla Lynch, di non-sense programmatici alla Gilliam, di furbate emozionali alla Nolan, di spacconate alla Tarantino. Spielberg è il narratore americano. Già, l'America....una signora dietro di me ad un certo punto ha commentato stizzita: "Quanto sono guerrafondai gli americani!". Anche questa visione manichea delle cose ha un suo peso nel giudizio sui film più "politici" di Spielberg; ed è buffo perché anche limitandosi a The Post, nello stesso film vediamo come i Presidenti abbiano mentito al popolo americano (compreso il messianico Kennedy) ma anche come un tribunale abbia sancito inappellabilmente la libertà di stampa assoluta, smascherando di fatto il Re nudo. E' sempre la stessa America, quella del Ku Klux Klan e quella di Martin Luther King.

The Post è certamente un film che negli States avrà un impatto assai più profondo ed intenso che nel resto del mondo. Per quanto si possa rimanere impressionati dagli eventi, la percezione di uno spettatore europeo sarà solleticata parimenti dal lato artistico quanto dal lato politico del film. The Post è un'opera potente, vibrante, tecnicamente perfetta. I critichini di Spielberg continueranno a stigmatizzare tutto ciò che hanno stigmatizzato fino al giorno prima. Io credo che con ogni probabilità sarò ancora e di nuovo alla prima del prossimo film, il primo giorno di programmazione, al primo spettacolo, con gli occhi troppo piccoli per accogliere e contenere uno spettacolo così grande e ricco.

Trailer ufficiale

Galleria Fotografica