Sud

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Racconta Gabriele Salvatores che l'immediato film dopo Mediterraneo fu Sud. Non Puerto Escondido, che al momento dell'annuncio dell'Oscar era già in lavorazione, ma Sud, concepito dopo Mediterraneo e dunque effettivamente pensato e scritto con la consapevolezza di aver guadagnato un riconoscimento importante come quello della Academy, ovvero un tributo al proprio lavoro che travalicava ampiamente i confini nazionali. Ricordo che all'epoca, per quanto il modo di fare cinema di Salvatores mi piacesse, ero già abbastanza saturo della formula "Salvatores", ovvero prendere gente e trapiantarla in qualche luogo infinitamente distante sul mappamondo, con quella sottotraccia di costante fuga dalla realtà, per necessità o per scelta dei protagonisti. Pareva il cinema dei ragazzi cresciuti, disadattati rispetto al mondo circostante, perennemente alla ricerca di un'alternativa liberatoria e catartica. Anche tu spettatore ti sedevi nella poltroncina del cinema, scordavi il mutuo, la suocera, i figli, il capoufficio, l'asma bronchiale, e sognavi di essere a Marrakech, nel Dodecaneso, in Messico, più il posto era esotico meglio era. Nei primi anni '90 ero in piena adolescenza e questo bisogno di fuga dei grandi stentavo a capirlo, mi pareva estremamente adolescenziale, solo che l'adolescente ero io.

Sud - finalmente - arriva ad invertire la rotta. Pure Salvatores si era rotto di scappare a destra e a manca, e per contrappasso realizza un film opposto e contrario. Radicato in Italia e ambientato nello stesso posto, unità di tempo, spazio e luogo (quasi). Siamo da qualche parte nel sud, all'alba di una giornata elettorale. Tutto scorre lentamente fino a quando un drappello di disoccupati disperati assalta e occupa il seggio paesano. Dentro rimangono casualmente imprigionati anche degli ostaggi. Mentre il paese sembra comprendere ed appoggiare il gesto dei disoccupati, i Carabinieri intavolano una trattativa. - SPOILER: L'occupazione verrà poi spezzata da un'irruzione dei Carabinieri, anche se il finale avrà in serbo una sorpresa, parzialmente consolatoria per i disoccupati arrestati.

Il film è girato in Sicilia e l'aspetto rurale delle location lo lascia facilmente intuire, tuttavia abilmente Salvatores si guarda bene dal precisare in che luogo ci troviamo, poiché quel seggio potrebbe trovarsi indistintamente ovunque "al sud", e quel sud poi è genericamente estendibile a tutta l'Italia, un microcosmo che ci rappresenta tutti, indipendentemente dai dialetti e dai cognomi. Cannavacciuolo ad esempio farebbe pensare alla Campania, così come gli accenti di Renato Carpentieri e Silvio Orlando, mentre la figlia di Cannavacciuolo (Francesca Neri) parla un'italiano asettico, scevro da dialettalismi. Insomma siamo un po' ovunque e in nessun posto, ma quella è indubitabilmente l'Italia. Fa impressione infatti pensare che ciò che Salvatores raccontava nel 1993 potrebbe tranquillamente essere applicato ai nostri giorni. E' rimasto tutto identico; l'inghippo della scheda scomparsa, il deputato corrotto, la criminalità che lo sostiene (finché il cavallo è vincente, poi lo si abbandona al proprio destino), i Carabinieri dal volto umano ma anche un po' ottusi, i disoccupati disperati, la mala gestione di presunti fondi statali destinati a popolazioni eternamente terremotate, le frizioni tra immigrati e proletariato (opposti eserciti schierati nella guerra tra poveri delle zone più disagiate dello Stivale), la borghesia snob, ipocrita e menefreghista (qui incarnata da Gigio Alberti), il cinismo della tv. Una serie di stereotipi forse fin troppo tali, ma che servono a Salvatores per attribuire ad ognuno la sua parte in commedia e far risaltare bene i ruoli di ciascuno nelle miserie della società italiana (di allora e di oggi).

La compattezza del film è certamente un pregio, 86 minuti, un buon ritmo, pochissimi momenti morti nonostante il tempo sospeso, fisiologico considerando la trama. Nota negativa (per il sottoscritto), la nefasta musica da centro sociale affidata a 99 Posse, Bisca, papa Ricky e tutti quei nomi che in quella stagione di "lotta alternativa" hanno straziato i padiglioni auricolari di molti ragazzi, indipendentemente dalla collocazione politica. Capisco che dato l'argomento, quel tipo di musica potesse anche aver senso ma è davvero irritante e sgradevole. Salvatores in chiusura esprime pure il suo apprezzamento per il mondo dei centri sociali con una scritta in sovraimpressione. Silvio Orlando mi è sempre piaciuto tantissimo e qui il suo talento non tradisce; mentre mi ha sempre lasciato freddino Francesca Neri, la cui bellezza la fa spesso sembrare fuori contesto. Qui secondo me neppure la scrittura del personaggio aiuta, poiché si gioca troppo poco sulle sue ambiguità, forse con l'ansia di rassicurare lo spettatore sul suo essere in fondo positiva ed affidabile, semplificando troppo una serie di sfumature che invece avrebbero potuto dare più chimica al film.

Trailer ufficiale

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