Ri-visto Staying Alive (1983) cultissimo stallonian-travoltiano che si proponeva come seguito de La Febbre Del Sabato Sera (Stallone si sa, ha la fissa per i sequel). E non te li immaginavi, Rocky Balboa e Rambo a dirigere un film di danza ('spetta, poi facciamo tutte le precisazioni del caso....). Nell'83 Stallone era già stato tre volte Rocky, una volta Rambo, oltre ad aver recitato ne I Falchi Della Notte, Fuga Per La Vittoria e F.I.S.T., e come regista aveva diretto Taverna Paradiso e i due seguiti del primo Rocky. Insomma, era già ben avviato sulla tamarraggine yanke doodle tutta muscoli, e un film ballerino pareva proprio fuori dalle sue corde. Ma vediamo se tutto ciò corrisponde a vera verità...
Come interprete Stallone si assicura il talento di John Travolta che, se de una parte era una scelta obbligata, trattandosi del sequel di Saturday Night Fever, dall'altra va anche detto che Travolta di quel periodo lì ricorda vistosamente Stallone (italoamericano, faccia proletaria, taglio di capelli identico, fisicità un po' bombata, sguardo perso nel vuoto, fascetta in fronte). La "danza" come la intende Stallone in Staying Alive assomiglia più ad una battaglia che ad una elegante aggraziata ed aerea coordinazione coreografica di corpi in movimento. Tutta la fase delle prove corrisponde grossomodo agli allenamenti di Rocky prima degli incontri sul ring, così come lo show di Broadway (Satan's Alley) è altamente spettacolare, atletico, roboante, non esattamente Il Lago dei Cigni insomma. Costumi, luci, musiche (e ovviamente le coreografie molto plateali), contribuiscono a creare un ulteriore parallelismo tra i rutilanti incontri di pugliato di Rocky e lo show di Tony Manero. Il che non rende affatto Staying Alive un film mediocre o inferiore rispetto al capitolo precedente della Manereide, anzi, esalta sfumature diverse, che naturalmente rispecchiano molto la regia di questo secondo capitolo. Staying Alive va meno in profondità rispetto a tematiche come la vita suburbana dell'America anni '70, la famiglia operaia che alleva Tony Manero, l'irrequietezza giovanile ed il desiderio bruciante di farcela, di riscattarsi, di realizzare il sogno, diventare qualcuno attraverso un proprio talento (la danza). Stallone esalta l'aspetto macho, guerriero e combattivo del protagonista, restringendo il suo campo d'azione ad un fatto, un tempo ed un luogo preciso, lo show che lo farà esplodere a Broadway.
Travolta è nuovamente impeccabile, eccellente per la sua parte, lui è indubitabilmente il miglior Tony Manero possibile. Un ragazzo volitivo, tenace, insicuro, emotivo, arrogante, simpatico, superficiale, anche piuttosto stupidotto, ma capace di gesti generosi e dotato di una grinta e di una voglia di fare senza pari (mica vi ricorda un certo pugile di quart'ordine, noto negli ambienti come lo "Stallone Italiano", per caso....?). Accanto a lui un cast molto felice, a cominciare dalla sua dolce fidanzatina/amica, la splendida Cynthia Rhodes, con un viso di pura porcellana, per poi passare alla panteresque Finola Hughes, ambigua, cinica e pericolosa. C'è poi Steve Inwood, il coreografo, il "motivatore" di Tony Manero (così come Rocky aveva il vecchio Mickey). Le musiche - che ve lo dico a fare - sono ovviamente marchiate BeeGees, con molto altro però; un gran contributo lo dà Frank Stallone, fratello rocker di Sylvester, che firma la leggendaria "Far From Over" (nomination al Golden Globe come miglior canzone originale), che da allora nessun aspirante teenager ballerino potrà dire di non conoscere o non desiderare di ballare. Si narra che Stallone seguì personalmente gli allenamenti di Travolta durante la lavorazione del film, ed infatti, il fisico che Manero esibisce on stage Travolta se lo sogna ancora. Tra i cameo, ci sono quelli di Stallone stesso (lo si riconosce chiaramente, quando Manero lo urta "casualmente" per strada), Patrick Swayze e Richie Sambora.