Settembre

Settembre
Settembre

Secondo film puramente drammatico di Woody Allen dopo Interiors (1978) e Manhattan che però, pur avendo accenti fortemente drammatici, li mitiga con sprazzi di commedia e romanticismo. Settembre è ostico, lo dico subito, all'opposto della briosa, leggera e frizzante comicità della produzione dei primi anni '70 del regista. Il film è interamente scritto e diretto da lui e, a detta dei critici molto molto intelligenti, mostra evidenti influenze checoviane e bergmaniane, due degli autori che Allen ha sempre dichiarato di ammirare una spanna sopra gli altri. In una isolata casa del Vermont, una famiglia vive un'estate di conflitti, sentimentalismi, incomprensioni reciproche, piccole e grandi tragedie, amori non corrisposti e confronti col passato. Pochi personaggi racchiusi all'interno delle mura domestiche; non una scena in esterna, fatto salvo il porticato della bella e antica dimora molto vintage, quasi una casa coloniale. Mia Farrow è Lane, fragilissima donna incerta sul suo destino ed emotivamente sull'orlo dell'abisso; Dianne Wiest è Stephanie, moglie autorelegatasi al ruolo di automa, disinnamorata del marito (che ha lasciato a Philadelphia con i figli), finge di vivere una vita fatta di routine e gesti privi di senso che si ripetono, sperando reconditamente in un nuovo amore che la faccia sussultare; Sam Waterston è Peter, proprio quell'amore, uno scrittore fallito, corteggiato timidamente da Lane ma in realtà interessato a Stephanie; Elaine Stritch è Diane, madre di Lane, attrice e vecchia gloria dal passato burrascoso e pieno di aneddoti, compresa la morte per arma da fuoco del suo amante gangaster; Denholm Elliot (il mitico Coleman di Una Poltrona Per Due) è Howard, un amico di famiglia segretamente innamorato di Lane; Jack Warden è Lloyd, attuale marito di Diane, accondiscendente e rassicurante baluardo della sua vecchiaia.

Allen chiarisce da subito che la casa stessa è protagonista tra i protagonisti, facendo iniziare il film con una lenta carrellata tra le stanze vuote, mentre in sottofondo sentiamo le voci degli abitanti; così come l'ultima scena, prima dei titoli di coda, è nuovamente dedicata a quegli scorci domestici, dopo che tutto si è consumato. La calda fotografia di Carlo Di Palma valorizza al massimo il tepore e l'eleganza di quelle pareti di legno e dell'arredamento vecchio stile che vi è ospitato, facendo da contraltare alla amarezze che i personaggi vivono durante gli 82 minuti di pellicola. Il tutto avviene sul finire dell'estate, mentre settembre sta per subentrare, spazzando via la generalizzata catarsi emotiva alla quale assistiamo. Dato che tutto finisce male (gli amori che dovevano prendersi non si prendono, le singole anime si abbandonano vicendevolmente - tranne la coppia inossidabile Diane/Lloyd - e i traumi psicologici di Lane anziché alleviarsi si aggravano a causa degli eventi), il mese di settembre assume una valenza simbolica; è la fine dell'estate che prelude al grigiore autunnale, anche se, va detto, non è che pure prima in quella casa splendesse un sole pieno. Tuttavia la sensazione è quella di un progressivo e nichilista scivolamento verso il malessere, l'insoddisfazione, il nulla di fatto. Le esistenze di Lane, Stephanie, Peter vengono brutalmente avvilite dal non compiersi dei loro desideri, dalla constatazione che la vita è una inesorabile sottrazione di piacere e felicità. Convinzione alla quale giunge pure Diane, sebbene per altre vie, e continuando comunque ad ostentare una sicumera tanto arrogante quanto salvifica per la sua sopravvivenza (almeno per sé stessa). Lo dice Peter nel film, alcune persone non riescono a superare le tragedie, rimanendone annientate, altre ne vengono fuori in qualche modo, sono i "sopravvissuti".

I personaggi della Farrow e della Wiest, ancorché ottimamente resi dalla rispettive attrici, mi hanno suscitato un filo di antipatia, entrambe sono fasciame in preda ai flutti, totalmente incapaci di prendere in mano la propria vita e farne qualcosa di solido, produttivo, concreto. La Farrow qui sublima il suo personaggio classico, un po' psicotico, infantile, isterico, volubile, inconcludente (vi siete mai chiesti da dove abbia preso ispirazione Gwyneth Paltrow con tutto il suo corredo di faccine da cane bastonato?). Molto meglio la Stritch, la quale, oltre ad essere una splendida interprete, perlomeno con la sua guasconeria un po' arrogante fa più simpatia. Ma questa è mera empatia soggettiva, ognuno rivedrà nella storia e nei suoi protagonisti qualcosa di proprio e personale. Allen dirige con garbo, finezza, bel tratto, mette molta calma nel descrivere i lunghi; estenuanti e molto verbosi i dialoghi, che si affastellano uno sull'altro. A tratti, lo ammetto, una certa pesantezza l'ho avvertita, tuttavia Settembre è un grande affresco crepuscolare (con la psicanalisi sempre in agguato), una sorta di romanzo rurale americano dall'epica dimessa. Molto bello il lavoro di Di Palma nel momento in cui il temporale toglie l'elettricità alla casa, che per un po' viene illuminata solo con delle candele. Il film non ha avuto una gestazione semplice, inizialmente doveva essere girato nella casa di campagna della Farrow, nel Connecticut, ma al momento del ciak era già inverno inoltrato, per cui si optò per degli Studios. Inoltre la prima versione di Settembre aveva un cast diverso, Christopher Walken e Sam Shepard si avvicendarono nel ruolo di Peter, Maureen O'Sullivan aveva quello di Diane e Charles Durning quello di Howard. Una volta arrivato al montaggio, Allen non rimase soddisfatto del risultato, quindi riscrisse parzialmente il film, trovò il nuovo cast e rigirò per intero la pellicola.

Trailer ufficiale

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