Senso Proibito

Senso Proibito
Senso Proibito

Il titolo Senso Proibito credo si riferisca alla bellezza, o alla decenza, è indubbiamente quello il "senso proibito" di questa pellicola Tani Capa del 1995. Né il film né il regista sono accreditati su IMDB, per dire la qualità della proposta di oggi. In effetti raramente Cineraglio è volato così basso all'interno del panorama cinematografico italiano. Con tutto che il trash mi diverte e mi appassiona, va detto che Senso Proibito è "oltre", oltre i limiti del guardabile, oltre un thermos di caffè per restare svegli, oltre il ridicolo involontario (e un po' mi scuso di proporre tanta monnezza). Protagonista indiscusso di una trama avvincente è er Mutanda, al secolo Antonio Zequila, con un curriculum di oltre una ventina di film (non ci si crede), molti dei quali di genere erotico, programmi tv (reality show, la celebre intemerata contro Pappalardo a Domenica In, e qualche fiction, ché non si negano a nessuno), ma pure un album ("Senza di Te", del 2006, per chi sentisse l'incoercibile necessità di procurarsene una copia). Gettonatissimo nel circuito del cinema pezzente italiano low cost, low brain, low tutto, Zequila mi si erge a titanico deus ex machina di questa pellicola che osa addirittura il metacinema, già perché il protagonista Andrea è un fotografo di moda, stanco del suo ambiente sterile, arido e senza sbocchi, che intende giocarsi la carta del cinema. Vuole entrare nel mondo dei 35 mm, girare un suo film, ed inizia così una travagliata scalata al successo irta di ostacoli e dispiaceri (più che altro per lo spettatore). Andrea conosce molte persone, ha agganci e soprattutto sifona ogni modella che gli passa tra le mani; ha dunque evidentemente tutti gli strumenti per produrre il suo primo lungometraggio di genere rigorosamente erotico.

Per 95 minuti (si, ben 95 minuti di argomenti da sviscerare) le cose vanno così: Zequila ha a che fare con donne (modelle, fidanzate, manager, figlie della manager, mogli di un potenziale finanziatore, amanti del potenziale finanziatore, etc.), tutte sistematicamente ninfomani, innamoratissime di lui e pronte a darsi in ogni dove, comunque, quantunque, semprunque. Zequila è infaticabile, uno stallone assoluto, ha appena finito magari che se ne fa avanti un'altra, e lui samaritanamente concede bis e tris. Al massimo poi fa una doccia e torna fresco come una rosa. Alle modelle promette ruoli nel film, a tutte le altre promette grandi gioie esistenziali. Mente spudoratamente ma tutto perché è stato stritolato dal sistema. Non si rende conto infatti, l'anima candida, che il mondo del cinema è un ambiente brutto brutto, il business ti plasma e ti corrompe, e lui, senza volerlo, cede alle lusinghe di compromessi e piccinerie, tutto in nome dell'arte, e della crisi economica che lo spinge ad affermarsi come cineasta. Questo percorso interiore lo porterà a perdere gli affetti più cari da un verso, e a rinnovarsi come in una catarsi escatologica dall'altro. Non c'è lieto fine purtroppo, poiché anche la sua fidanzata storica lo molla, e il bel fotografo capisce di essersi sporcato senza ottenere nulla in cambio. Anche se forse ora può dirsi un uomo migliore (sicuramente appagato, sotto certi punti di vista), anche perché peggiore, rispetto al punto di partenza, era assai difficile.

Il parco femmine (perché di quello si tratta, mammiferi femmine) è modesto. Perlomeno in questo tipo di pellicole si punta su qualche bel donnone ruspante, potendo scialare poco in termini di scenografie e costumi (men che mai nella fotografia, se il regista è un tizio qualunque con la MdP, un po' come Andrea nel film insomma). E invece, fatta salva la ragazzetta bionda che fa la figlia zoccola dell'art director di Andrea (non chiedetemi i nomi) - che oggettivamente si difende - il resto sono cassiere del supermercato (con tutto il rispetto) che fanno straordinario per arrotondare. La cosa più terribile è il doppiaggio da telenovela brasiliana degli anni '80, rumori d'ambiente uber posticci che si interrompono durante i dialoghi con la grazia di una valanga nella Via Lattea, ed una bellezza di voci che al confronto Santamaria che doppia Batman è Giuseppe Rinaldi. La cura dei particolari è certosina, come quando Zequila è in palestra col suo amico, fotografo pure lui; Zequila fa una fatica bestia a sollevare ben 3 placchette di metallo (15 chili al massimo?) mentre il suo compare fa esercizi col capello lungo sciolto e fluente (mentre quando sono fuori li tiene raccolti, vive al contrario praticamente). Per non parlare dei dialoghi con perle tipo "nel ghiaccio c'è qualcosa che mi scalda dentro". Un consiglio spassionato (ai limiti dell'implorazione): dedicatevi a qualsiasi cosa, ma non perdete 95 minuti della vostra vita vedendo Senso Proibito, io l'ho fatto per deontologia di blogger.

Trailer ufficiale