Il cosiddetto Decamerotico è un filone del nostro cinema di genere durato relativamente poco (sostanzialmente un lustro) e che ha prodotto circa una cinquantina di pellicole tra decamerotici effettivi (ovvero derivanti ed ispirati direttamente dal Boccaccio) e divagazioni varie (Pietro Aretino, Masuccio Salernitano, Ruzante, Chaucer, novelle d'Oriente, etc.), di cui 30 nel solo 1972, una vera invasione. Istituzionalmente lo si situa tra La Betia, Ovvero In Amore, Per Ogni Gaudenzia Ci Vuole Sofferenza ('71), di Gianfranco De Bosio (seppure un po' sui generis come "decamerotico" puro), e Quant'è Bella La Bernarda, Tutta Nera, Tutta Calda ('75), di Lucio Dandolo, un po' l'alfa e l'omega del genere. Il padre ispiratore, suo malgrado (o magari sotto sotto ne è stato contento), è da individuarsi in Pasolini, che con la sua trilogia Decameron (71), I Racconti Di Canterbury (72) e Il Fiore Delle Mille E Una Notte (74) ha sdoganato cinematograficamente molti degli elementi costitutivi del decamerotico: una sessualità aperta e giocosa, una trasgressione autocompiaciuta e ruffiana, un consapevole appeal commerciale nazional-popolare, l'uso dei dialetti, il contesto agreste, rurale e campagnolo, una comicità anche greve, "contadina", basata su istinti primari e un po' animaleschi, tutte condizioni del resto già presenti nelle pagine boccaccesche.
I Racconti Di Viterburi ha la felice intuizione di coniare un titolo che ovviamente cita i Canterbury Tales di Chaucer, trasferendo il tutto in un luogo assai meno evocativo e letterario, l'alto Lazio, altrimenti noto come area della Tuscia, orbitante sostanzialmente attorno alla provincia di Viterbo. Mario Caiano, assunto lo pseudonimo di Edoardo Re, non ci gira manco una scena in realtà, ma vi ambienta la narrazione, costituita da una cornice che raccorda sette episodi di breve durata. Delle lavandaie si intrattengono durante lo spurgo dei panni raccontandosi delle storielle raccolte da testimoni diretti o sentite dire da terzi aventi come argomento unico il sesso declinato in ogni sua variante sociale. Ecco quindi un novello sposino inesperto con la (orribile) moglie la prima notte di nozze, ma assai più produttivo con la suocera; un guelfo che cerca di giacere con la figlia di un nemico ghibellino; una moglie che orchestra contemporaneamente le voglie del marito, dell'amante e di un sacerdote esorcista (e che viene beffata da un tacchino); una monna che finge di essersi presa un granchio nelle pudenda durante un bagno al fiume e che rimedia facendo mettere continuamente delle "esche" agli uomini proprio in quel punto lì; un'altra moglie terrorizzata dal "mostro" che il marito ha tra le gambe, la quale poi, smascherata la terribile creatura, non ne hai mai abbastanza; un'adultera che tradisce il marito con degli amanti che poi vengono spediti a macinare il grano come buoi da lavoro; uno sciupafemmine che gabba il fratello di una delle sue prede rimasta incinta, facendolo carcerare. Il tutto poi si chiude con le stesse lavandaie che saltano orgisticamente addosso ad un drappello di soldati di passaggio, evidentemente stimolate da tutte le facezie ascoltate sin lì.
Siamo all'interno del più tipico prodotto decamerotico, anche se non si fa diretto riferimento a questo o quel novelliere. Le situazioni sono classiche, le licenze tutte amorose, beffarde, adulterine e contadine, le donne solitamente ne escono trionfanti rispetto ai loro compagni, sbeffeggiati a vario titolo. L'intero meccanismo si affida ad attori dal risultato garantito come Toni Ucci, Clara Colosimo, Linda Sini, Giacomo Rizzo e, sul versante delle provocanti bellezze discinte, a nomi di altrettanto sicuro effetto come Rosalba Neri, Orchidea De Santis, Rosemarie Lindt, Christa Linder. Nell'ultimo racconto c'è anche un subliminale riferimento alla coppia comica Bud Spencer/Terence Hill, visto che i due protagonisti (Cecco da Viterbo ed il suo punitore) non solo riprendono fisicamente il celebre duo, ma ne ripetono anche le gesta, durante una scazzottata con degli armigeri platealmente ricavata dalle coreografie ridanciane delle colluttazioni di Spencer e Hill, con effetti sonori, cazzottoni sulla capoccia, velocità parossistica e capitomboli circensi. Come ulteriore collante il martellante motivo "Ah, L'Amore, l'Amore" cantata da Erika Grassi. Le musiche sono curate da Franco Bixio.