Quattro Mosche Di Velluto Grigio

Quattro Mosche Di Velluto Grigio
Quattro Mosche Di Velluto Grigio

Che in un paio d'anni Dario Argento (e suo padre Claudio) facciano uscire in sala 3 film, tre thriller, tre titoli che faranno storia (semanticamente) nel cinema italiano ed internazionale, ridefinendo anche la grammatica del genere thriller, rimane una cosa sensazionale e che non si è più ripetuta negli stessi termini, a memoria d'uomo. Premesso dunque che si tratta di tre pellicole favolose e assolutamente obbligatorie per un cinefilo che si rispetti, molti ritengono Quattro Mosche Di Velluto Grigio, (l'ultima delle tre in ordine di tempo), la più debole del podio. E questo prevalentemente per via di una sceneggiatura che chiede davvero troppo allo spettatore in termini di predisposizione passiva ad accettare gli eventi. In realtà questo aspetto sfidante di Argento non farà che accentuarsi d'ora in poi, l'elemento veristico lascerà sempre più il passo alla fantasia, al fantastico, all'onirico e all'atmosfera pura e fiabesca (sebbene a sfondo orrorifico); la logica razionale, la coerenza narrativa, la stringente lucidità di passaggi concatenati cederà progressivamente il passo alla visionarietà di Argento, tanto su un versante tecnico-esecutivo quanto sul piano più narrativo.

- SPOILER: Se l'intenzione dell'assassino è di arrivare ad uccidere il protagonista Roberto Tobias (Michael Brandon) perché perseguitarlo ed ossessionarlo con un finto omicidio? L'assassino vuole torturare psicologicamente Roberto o vuole ucciderlo? In che termini è concepita la punizione del protagonista? Inoltre, una volta acquisita l'identità dell'assassino, l'elaboratissimo piano vacilla, perché data la fragile e precaria situazione psicologica della mente omicida, la complessa trama asfittica cucita attorno a Tobias sembra davvero troppo ambiziosa e raffinata. Lo spiegone finale mette in chiaro che Tobias è la vittima predestinata a causa della somiglianza col padre dell'assassino, il che da una parte giustifica, dall'altra crea ulteriori perplessità poiché, se l'odio era tale da aver covato per anni una vendetta (che non si è potuta realizzare perché il padre dell'assassino era "purtroppo" morto da sé, per cause naturali), è incredibile che Tobias assuma il ruolo che assume nei confronti dell'assassino. E poi, tanta ferocia solo ed esclusivamente per una banale somiglianza?  Come fa la domestica (Marisa Fabbri) a capire l'identità dell'assassino? Vi è poi la questione dell'ultima immagine che rimarrebbe impressa sulla pupilla della vittima al momento del trapasso. Forse questa teoria suonava già bislacca nel 1971, figuriamoci col passare dei decenni; è l'irruzione di una spiegazione di disarmante ingenuità in un contesto altrimenti assai puntuale e preciso. Stupisce anche che l'investigatore Arrosio (Jean-Pierre Marielle) dipani il caso con tanta arguzia e capacità, dopo essersi presentato come un professionista che ha fallito 84 indagini, sostanzialmente senza aver mai portato a casa un solo risultato che sia uno in tutta la sua carriera. Questo elemento rende molto buffo e simpatico il personaggio, scritto con grande ironia e recitato da Marielle con altrettanto talento, tuttavia stride con l'esito della sua indagine che invece coglie immediatamente nel segno (tant'è che paga il suo primo ed unico successo con la vita). Goffo e simpatico investigatore oppure scaltro e implacabile segugio?

Messe da parte le tante stravaganze di uno script che non va tanto per il sottile e decide di farsi andar bene ciò che Argento più che altro desidera rappresentare visivamente, Quattro Mosche Di Velluto Grigio rimane un film godibilissimo da un punto di vista visivo. La maestria del regista romano (qui in piena ascesa creativa) si dispiega a piena potenza; le immagini sono bellissime, la sinergia di fotografia, interpretazione degli attori, atmosfere nervose e "polanskiane", momenti di aperto humour, musiche rock e morriconiane, nonché la composizione frazionata di luoghi immaginari (la città del film - volutamente spersonalizzata e chiamata "la città" sulla lettera indirizzata a Tobias, il quale abita in una inventata via Fritz Lang - è Milano, Roma e Torino, ma anche Spoleto e Tivoli). Come è noto, la coppia d'attori Brandon/Farmer viene scelta per la somiglianza con Argento e la sua compagna di allora, Marisa Casale. Argento riversa molto del suo vissuto nel film e segnatamente nel (laborioso e sofferto) rapporto di coppia tra Roberto e Nina (molti degli scambi pungenti tra David Hemmings e Daria Nicolodi, altra fiancée di Argento, in Profondo Rosso nascono dalla stessa urgenza). Il regista ha raccontato di come anche solo dormire con una persona nello stesso letto gli provocasse molta ansia, abbandonarsi all'incoscienza dando le spalle a quella che poteva essere una perfetta estranea era per lui fonte di inquietudine. E la chiave del rapporto tra Roberto e Nina - e più in generale del film - è proprio quella di non conoscere fino in fondo qualcuno con cui in realtà si condivide la propria vita, i propri spazi e financo i propri sentimenti. Quattro Mosche Di Velluto Grigio è passato alla storia anche per la complicatissima scena finale realizzata con una macchina tedesca (la Pentazet) non pensata per il cinema ma per la scienza, capace di riprendere fino a 36.000 fotogrammi al secondo, climax della bulimia tecnica e sperimentatrice che Argento inseguiva in quel periodo.

Trailer ufficiale

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