Quantum Of Solace

Quantum Of Solace
Quantum Of Solace

Due anni (produttivi) di distanza da Casino Royale, 20 minuti effettivi di separazione tra quel film e questo. La storia prosegue immediatamente dopo il termine di Casino Royale, Bond è nel pieno di un inseguimento (come preda) e sta portando nella propria tana il suo trofeo, quel Sig. White (Jesper Christensen) implicato nella trama appena conclusasi e legato alla perdita dell'amata Vesper (Eva Green), una donna per la quale Bond era disposto a sacrificare tutto. Dunque nuovamente qualcosa di molto prossimo ad una vendetta personale da compiere, ad ogni costo (concetto acuito fino all'esasperazione con l'arrivo di Daniel Craig nei panni di 007). Si intraprende la strada della stretta ed assoluta continuità dunque, per la prima volta nella serie (scandita fin'ora da pellicole autoconclusive), tant'è che non aver visto Casino Royale non rende indigeribile Quantum Of Solace ma certo ne azzoppa la fruizione, togliendo parte della soddisfazione. Si prosegue sulla nuova impronta data a James Bond; come detto, l'arrivo di Craig cambia molte cose (in positivo o in negativo è una questione di gusti). Il franchise conosce un'impennata paurosa in termini di azione e spettacolarità, tratti intesi in maniera assolutamente veristica e non più fumettistica o addirittura fantastica, come accaduto altre volte in passato (cito a mo' di esempio Moonraker o La Morte Può Attendere). Proprio quelle incursioni in territori troppo astratti e incredibili - congiuntamente al bagno di realtà derivante dall'11 settembre 2001 - avevano portato Broccoli e Wilson a rovesciare la serie come un calzino, andando nella direzione opposta. Craig diventa il volto, il corpo e le sbucciature di questa rivoluzione pessimista e nichilista. Bond ha finito di divertirsi, di scherzare con aggeggi tecnologici super hi-tech, di bere cocktail agitati e non mescolati, tutte perdite di tempo che ora lasciano il tempo che trovano. Di tempo non ce n'è più nemmeno per le conquiste amorose, ne basta una, concreta, profonda, forever; per il resto, c'è solo da salvare il mondo a suon di botte.

Nonostante una coerente continuity di sceneggiatura e cornice, Quantum Of Solace è decisamente preferibile a Casino Royale. Asciuga di molto la narrazione (appena 106 minuti, da un bel po' non si scendeva sotto i 140 almeno), rende il tutto un po' più a fuoco, più digeribile e meno sborone rispetto a Casino Royale (sempre nei limiti concessi dalla fisicità di Craig). In cabina di regia viene chiamato Marc Foster, regista tedesco partito con produzioni indipendenti ed approdato alle nomination degli Oscar con film come Monster's Ball - L'Ombra Della Vita e Neverland - Un Sogno Per La Vita; scelta brillante perché Foster porta una notevole freschezza ad una serie che è giunta al capitolo numero 22 e lo fa con quello che in tutto e per tutto è un autentico sequel. Foster collabora pure alla sceneggiatura (per la seconda volta affidata al premio Oscar Paul Haggis), rivista anche assieme a Wilson e allo stesso Craig. Il titolo del film, apparentemente svincolato dalla storia raccontata, deriva tuttavia da Ian Fleming, e per l'esattezza da una storia breve contenuta in Solo Per I Tuoi Occhi.  E' buffo come l'opinione su questo capitolo bondiano e craighiano sia opposta e contraria alla mia, viene ritenuto il meno valido del suo interregno, sicuramente inferiore a Casino Royale e, conti alla mano, è stato il minor incasso dei quattro episodi con Craig. Personalmente l'ho apprezzato per l'incredibile qualità delle scene d'azione, a cominciare dal mostruoso inseguimento automobilistico che apre il film, per poi proseguire a piedi sui tetti di Siena durante il Palio (mostrato agli spettatori proprio all'americana, come uno spettacolino esotico di un'Italia cartolinesca, del tutto periferico rispetto al centro dell'azione ovvero Bond): Più in generale, ogni momento di adrenalina all'interno del film si lascia guardare con grande amabilità, per l'estrema spericolatezza e maestria di realizzazione (anche se ci furono vari incidenti sul set ed uno stuntman finì anche in terapia intensiva per la scena del camion che arpiona l'auto di Bond e la trascina lungo una galleria dalle parti del Lago di Garda). E' anche vero che tra prima metà e seconda metà un lieve calo si avverte, la conclusione nel deserto (tra il Cile ed il Perù, location scelta da Foster per sottolineare la solitudine di Bond ed il suo travaglio interiore), all'interno dell'avveniristico hotel che Craig provvederà ovviamente a mettere a ferro e fuoco, ancorché molto spettacolare, è meno inventiva di quanto sarebbe stato lecito aspettarsi. Tuttavia, almeno per una volta, la caratterizzazione del villain, dell'antagonista di turno è decisamente apprezzabile e "adulta". Merito di Foster che ha inteso rifuggire in ogni modo da macchiette grottesche e caricaturali (magari con accentuati difetti fisici), per concentrarsi semplicemente su di una personalità oscura, ambigua e pericolosa (quella del Dominic Green interpretato da Mathieu Amalric). La materia del contendere stavolta è il controllo dell'acqua (naturalmente intrecciato con la politica e il rovesciamento di regimi), anche in questo caso, qualcosa di molto più prosaico, realistico ed al passo con i tempi di mirabolanti satelliti spaziali e/o organizzazioni criminali ai limiti del Marvel universe.

Torna Giannini, non la Green (per ovvi motivi), e nemmeno Santamaria (per gli stessi motivi della Green). Judi Dench è ancora M, Q non c'è, in coerenza con quanto già detto, questo Bond non ha bisogno di tecnologia, tutt'al più di spinaci. Il rapporto con M è sempre più marcato in direzione del politicamente corretto. Una cifra su cui si insiste molto col Bond di Craig e il suo traghettamento da macho maschilista e sessuomane a macho femminista e romantico. Dunque la dicotomia tra M (donna, capo di Bond) e Bond (maschio, sottoposto di M, e con tanti scheletri maschilisti nell'armadio da farsi perdonare) esplode rumorosamente. M viene dipinta come una specie di madre (M-adre), di tutrice di Bond, specchio della saggezza e della razionalità che Bond non ha perché ragiona con l'intestino anziché con l'encefalo. Il Bond "vecchio arnese del passato" (come viene definito da M), inteso anche e soprattutto nei termini del suo  rapporto con il gentil sesso, deve essere rieducato, d i loro dialoghi sono tutti orientati in questo senso. Due le Bond girl di turno, Olga Kurylenko, che Bond non sfiora neppure con un dito e Gemma Arterton, che invece Bond sfiora ampiamente ma che è poco più che una figurina all'interno della storia e che si caratterizza (oltre che per la propria bellezza), per il richiamo trasfigurato al celebre Goldfinger, ciò che nel '64 accadeva a Shirley Eaton qui succede alla Arterton (ma col petrolio, dal glamour al nero, una perfetta metafora dell'evoluzione di James Bond). La gun barrel stavolta ripristina almeno parzialmente il vecchio stile, tornano ad esserci le silhouette femminili anche se Bond è sempre protagonista indiscusso. Ogni cambio di location è presentato stavolta da scritte molto fashion che cambiano di volta in volta, a seconda del luogo. Jack White e Alicia Keys cantano "Another Way To Die", theme song che non riprende il titolo del film come al solito (beh, sarebbe stata dura....); arrivano a sostituire Amy Winehouse che si vide annullare il contratto a causa dei suoi problemi di dipendenza. Anche stavolta, quando arriva il momento del fatidico cocktail (Bond lo beve in aereo con Giannini), viene chiesto a 007 cosa beva e lui, dopo aver.tracannato, risponde di non avere la minima idea di cosa abbia bevuto.

Trailer ufficiale

Galleria Fotografica