Prima di esplodere negli anni '70 come "gallo italiano" con pellicole come La Prima Notte Del Dottor Danieli, Homo Eroticus, Il Merlo Maschio, Il Gatto Mammone, All'Onorevole Piacciono Le Donne, L'Uccello Migratore, etc., portatore dei "valori" del maschio siculo, donnaiolo e fraudolento col sesso muliebre, Lando Buzzanca dà prova della stessa tipologia caratteriale con il ferroviere di Professione Bigamo, coproduzione austro-tedesco-italo-ungherese diretta da Franz Antel (aka François Legrand), autore in patria della saga della casta Susanna (Teri Tordai), tre film tra 1967 e '69. E proprio la Tordai torna come co-protagonista accanto a Buzzanca, assieme alla Carrà. Del resto di bigamia si parla e dunque ecco le due mogli del marito fedifrago ed ingannatore, la mediterranea Carrà (qui acconciata senza caschetto platino ma alla moda dei tardi '60) e la teutonica e biondissima Tordai. Per altro questa è una delle ultime pellicole interpretate dalla showgirl italiana, la quale sostanzialmente chiuderà con Il Caso "Venere Privata" nel '70 (per poi partecipare ad altre 3 produzioni tra il 1980 ed il 2013, due cameo e Barbara di Gino Landi nel 1980).
Vittorio Coppa (Lando Buzzanca) fa il controllore sul notturno Roma-Monaco di Baviera, addetto ai vagoni letti. Si divide tra la sua moglie italiana, Teresa (Raffaella Carrà), e quella tedesca Ingrid (Tori Tordai). L'organizzazione è scientifica, fino a che un bottone del cappotto cucito dalla moglie sbagliata, ed un medico psicotico (Jacques Herlin) non si mettono di traverso. Vittorio comincia a vacillare, non riesce più a gestire con la dovuta lucidità il doppio menage e quando, insospettita, Ingrid lo raggiunge a Roma per il compleanno, succede il patatrac. Le due donne vengono a conoscenza l'una dell'altra e portano Vittorio in tribunale. - SPOILER: qui non solo si scopre che l'uomo è bigamo, ma che in realtà è addirittura trigamo, avendo sposato in prime nozze una donna siciliana accompagnata dai suoi temibili fratelli (tutti "picciotti"). Essendo il primo matrimonio contratto in ordine cronologico, Vittorio viene assegnato, suo malgrado, alla vendicativa donna sicula. Con l'occasione però del servizio prestato sulla nuova tratta Roma-Genova-Parigi, Vittorio sposa una francesina, e tutto ricomincia da capo.
Il tono del film è leggero leggero, sin troppo, oserei dire evanescente e sciocchino per lunghi tratti. Pessima la scelta di caratterizzare pesantemente i personaggi con accenti improbabili. Tutti i tedeschi e le tedesche parlano in un italiano gravato dalla cadenza sturmtruppen (anche tra loro, quando non ci sarebbe alcun motivo di ricorrerea all'italiano, se non quello di far comprendere allo spettatore cosa si stanno dicendo i personaggi). Seguono tutti i dialetti (italiani e non) possibili ed immaginabili. C'è la cameriera pugliese, il datore di lavoro emiliano-romagnolo, la Carrà con inflessioni romanesche, il medico franzoso, e via discorrendo, col risultato che si fa una gran fatica a sentir parlare qualcuno in semplice italiano comprensibile e corretto. L'effetto Bagaglino è dietro l'angolo, e anziché far ridere indispettisce. Un teatrino incessante e grossolano che rende ogni dialogo ulteriormente superficiale e vacuo. Buzzanca è praticamente l'unico a tener degnamente la scena. Divertente il suo precisare continuo che il matrimonio è cosa da osservare con sacralità e rigore. Vittorio infatti sposa perché ama, e non tradisce le proprie mogli, contrariamente a quei poco di buono che vivono di mille avventurette extraconiugali. Il ruolo naturalmente è cucito su misura per Buzzanca. Di sfuggita la Tordai concede qualche topless (idem la di lei sorella nel film), e più in generale il racconto ha una tenue coloritura erotica, perlopiù all'insegna della pochade. Carine le musiche di Gianni Ferrio.