Dick Maas è un regista olandese noto (a chi è noto) per thriller/horror pregevoli come L'Ascensore (1983), il suo esordio, e Amsterdamned (1988). Dagli anni '80 ha comunque continuato a girare pellicole, orbitando nel circuito dei b-movies, con budget per i quali era necessario tirar fuori un coniglio dal cilindro (con un diametro sempre molto stretto). L'ultima sua fatica in ordine di tempo è Prey, che data già un lustro fa. Il soggetto non è originalissimo, un leone si aggira in città, è ovviamente tra i più selvaggi famelici e pericolosi (un "mangiauomini", 2 metri per 200 kg) e, sostanzialmente, sono cavoli amari. In verità, squali e kaiju a parte, era un po' che non si vedevano mostri "normali" prendere d'assedio qualche cinema. Era tornato a farsi vedere King Kong (con le pellicole rispettivamente di Peter Jackson e Jordan Vogt-Roberts), ma con questo Prey siamo nel più classico degli stilemi uomo vs natura, il predatore per eccellenza, il re della foresta, lascia il suo habitat naturale e cala su Amsterdam (che inizialmente doveva essere Berlino ma poi Maas ha deciso di giocare in casa) per terrorizzare la popolazione dei tulipani. Il registro narrativo scelto slitta dal thriller al comico, dal grottesco all'horror; la definizione usata per etichettare il film è quella del "comedy horror", il che già incuriosisce. Le uccisioni del leone sono piuttosto caricaturali, quasi come fossimo ai tempi de L'Ululato di Joe Dante (qualcuno forse ricorderà anche il nostrano Wild Beasts di Franco Prosperi), naturalmente senza la componente soprannaturale. Qui di soprannaturale c'è più che altro la computer grafica, davvero grossolana e dozzinale. Maas si era rivolto ai tecnici de La Vita Di Pi, per ottenere effetti realistici e performanti, ma al dunque il budget si è rivelato insufficiente e così si è ripiegato su un team di effettisti evidentemente più maccheronico. la cosa purtroppo si avverte in tutta la sua inappropriatezza. Salvo che per le scene di leoni in gabbia allo zoo, ogni qual volta si vede la "bestia" in azione si ha la netta impressione di un pezzo di computer che si muove in mezzo ad uno scenario reale. Il leone ha persino un'espressività propria, che lo proietterebbe senza colpo ferire in un film della DIsney. E non si tratta propriamente di un complimento.
In contrapposizione all'efferatezza delle artigliate e delle teste staccate di netto a morsi (nonché alle fiumane di sangue schizzate ovunque), abbiamo personaggi quasi comici e dialoghi all'insegna dello humour, soprattutto per quanto riguarda il mitico cacciatore Mark Frost, personaggio grottesco e sopra le righe. Si muove su una sedia a rotelle che è un mini cingolato custom (avendo perso una gamba in un incontro ravvicinato con un altro felino) ed è segnato da metastasi che a breve lo uccideranno. Nonostante ciò, si dedica anima e corpo alla caccia del leone che terrorizza Amsterdam. La Polizia è incompetente e approssimativa, l'unica mente illuminata pare essere quella della veterinaria dello zoo cittadino (Sophie van Winden), per altro ex del cacciatore. Nel mezzo tra i due un cameraman un po' latin lover (Julian Loomanm). Via via che la caccia procede i cadaveri si sommano, anche con un po' di crudeltà politicamente scorretta, visto che Maas fa uccidere al leone anche i bambini inermi (sempre e comunque con scie di sangue copiosissime). Il gran finale avviene in due tempi; dapprima in un parco pubblico cittadino (il meraviglioso Vondel Park) poi nell'adiacente facoltà di medicina, nella quale il leone va a a cibarsi presso la camera mortuaria. Qui, i personaggi, seppur in modo scaglionato, affrontano il leone all'ultimo sangue.
- SPOILER: Quindi scopriamo che i leoni in città era addirittura due, il che forse sarà un twist ad effetto per il film, ma risulta alquanto improbabile poiché da giorni la città è scandagliata da veterinari, zoologi, cacciatori e forze dell'ordine che analizzano ogni traccia, ogni impronta, ogni segno salvo non afferrare mai che gli animali sono due anziché uno. La van Winden addirittura ne stima stazza, abitudini e particolarità, quindi o le due bestie sono praticamente gemelle in tutto o il colpo di scena risulta un po' forzato.
Il mestiere di Mass nel dirigere la pellicola c'è, anche se a volte alcune sviste lasciano perplessi, come quando la veterinaria si barrica in una stanza della Facoltà di Medicina, addossando la qualunque alla porta per non far entrare il leone, solo che la porta dalla quale lei stessa è entrata pochi secondi prima si apre per il verso opposto a quello che lei ha murato. Nulla è dato di sapere sul perché accade quel che accade, da dove viene il leone, come e perché, siamo catapultati nel centro dell'azione e tanto basta. Carini i titoli di testa dove siamo sintonizzati sulla soggettiva del felino che si approssima alla città (anche se non si capisce perché il leone debba vedere tutto in viola). Non dico che Prey non sia divertente, a suo modo lo è, ma è chiaramente un prodotto di serie B, con momenti di incespicamento piuttosto evidenti, parecchie storture e una espressa richiesta allo spettatore di prendere il tutto un po' alla come viene viene, senza andare tanto per il sottile.