Siete alla ricerca di un film che incarni in maniera indelebile e filologica gli anni '80 a stelle e strisce, l'immaginario di una New York notturna, illuminata dalle fiammeggianti luci al neon dei locali e dei negozi, un'offerta ininterrotta di ragazze ad ogni angolo di strada, per ogni tasca ed ogni esigenza, brutti ceffi che camminano sui marciapiedi, nei vicoli bui, droga, prostituzione, poliziotti dai modi burberi e spicci, giacche italiane firmate ed un retrogusto di frontiera dove la giornata obbedisce alla regola del più forte? Ebbene, avete fatto bingo, Abel Ferrara confeziona questo Paura Su Manhattan a metà del decennio, riempiendo lo schermo di facce molto caratteristiche e italoamericani in odore di Mafia. Il poliziotto Al Wheeler (Billy Dee Williams) dice espressamente di odiarli, dato che sono loro ad avere le mani in pasta in tutti gli affari più loschi del quartiere, ma indubbiamente Ferrara è il primo a giocare con lo stereotipo razzista che lo vede coinvolto direttamente, essendo figlio di genitori salernitani. Matt Rossi (Tom Berenger) e Nicky Parzeno (Jack Scalia) gestiscono una agenzia di "talenti", che poi sono spogliarelliste che loro dirottano sera dopo sera nei vari locali della città; il business è in concorrenza con quello di Goldstein (Jan Murray), con relative famiglie malavitose alle spalle. L'equilibrio si è sempre mantenuto tale fino a che un tizio non inizia ad aggredire, sfregiare ed uccidere le ragazze di entrambe le agenzie. Mentre la Polizia indaga, anche Matt e Nicky cercano di scovare il maniaco, fino alla resa dei conti finale.
La cosa più affascinante di Paura Su Manhattan è innanzitutto l'atmosfera, il puzzo di quelle strade, di quei locali, degli abiti dei personaggi, l'odore della pelle delle ragazze, unitamente alle luci artificiali che inebriano clienti (e spettatori). Le facce sono quelle giuste, che si tratti dei protagonisti come dei comprimari. Tom Berenger è di una bellezza clamorosa, una sorta di divinità greca al suo massimo splendore, capace di esprimere durezza e dolcezza al contempo. Con Jack Scalia forma un duo alla Miami Vice, anche se sbilanciato dalla parte del malaffare. Billy Dee Williams è lo sbirro perfetto, arrogante, capace ma irritante nei modi e nel modo di pensare. Il suo fido, Joe Santos, è un Al Pacino mancato, mentre nelle vesti di un ambiguo boss locale c'è il nostro Rossano Brazzi. Sin dai titoli di testa le ragazze sono in topless, piene di lustrini nelle zone strategiche, ed ammiccanti ad una fauna di avventori maschili da zoo. La primadonna tra di loro è Melanie Griffith (nello stesso anno si farà notare anche in Delitto A Luci Rosse di De Palma), un po' con il suo solito personaggio della ragazza fragile e delicata. Le sfila accanto un parterre di seni, glutei, adduttori e flessori delle cosce da guinness dei primati. Tra loro anche Rae Dawn Chong (che l'anno dopo sarà con Arnold Schwarzenegger in Commando), Ola Ray (la ragazza di Michael Jackson in Thriller), Maria Conchita Alonso, vice Miss Venezuela 1975 e finalista a Miss Mondo, apparsa poi in L'Implacabile, Colors, Predator 2, etc, nonché vista e rivista soprattutto in parecchie serie tv. Ferrara ha raccontato di aver previsto inizialmente scene assai più crude ed esplicite, anche sessualmente, che poi però sono state cassate per consentire una distribuzione del film non troppo penalizzante. In effetti per tutto il tempo si respira quest'aria morbosa ed erotica un po' frustrata, e non ho alcun dubbio che Ferrara, per altro nella selvaggeria dei suoi primi anni, avesse previsto un assalto all'arma bianca in tal senso.
Quando il film si incanala più rigorosamente sui binari della caccia al maniaco, l'estro di Ferrara si addomestica un po' e il finale risulta meno imprevedibile ed estroso di quanto sarebbe stato lecito aspettarsi, date le premesse. Anche in questo caso la Produzione ci mise del suo, imponendo il ricongiungimento finale di Berenger e della Griffith con bacetto corroborante a rincuorare il pubblico. Molto più interessanti i 3/4 di pellicola precedenti, anche per come Ferrara dispone sul tavolo le tessere del puzzle, con un criminale più criminale dei criminali mafiosi (poiché la sua violenza è insensata, gratuita e paranoica), che non spiccica una sola parola in tutto il film ed è connotato in modo molto fumettistico; ma pure per come viene trattata la Polizia, visto che se per un verso Billy Dee Williams abbaia e ringhia forte, dall'altro l'apporto dei tutori della Legge a Manhattan è pressoché nullo, del tutto collaterale, per non dire irrilevante. Fear City è una pellicola estremamente visiva, pulp e intensa, che si abbevera dei cliché del genere ma li esaspera (alla maniera di Ferrara), dando tanto di tutto e creando un metamondo noir roboante, parossistico ed esagerato che tuttavia risulta sempre coerente e credibile. Il ruolo di Loretta in origine era stato previsto per Baybi Day (già in Driller Killer) che però morì di overdose prima dell'inizio delle riprese; si sarebbe trattato di una interpretazione quasi autobiografica, trattandosi di una ballerina che si esibiva nei night che poi vediamo nel film. Alle musiche ha collaborato David Johansen, dei New York Dolls, che canta la canzone dei titoli di testa "New York Dolls" (appunto). Tra i distributori del film figura anche Chevy Chase con la sua compagnia omonima.