
Dal 1982 Francesco Nuti è in ascesa costante, un successo dopo l'altro, mettendo (quasi sempre) d'accordo pubblico e critica, e aumentando esponenzialmente gli incassi al botteghino. Donne Con Le Gonne (1991) è il culmine di questa corsa decennale verso la cima della montagna e getta le condizioni perché Nuti possa finalmente dar corpo e fotogrammi ad un'idea che gli frulla in testa da un po', una rivisitazione di Pinocchio, favola universale che contiene tutto, la vita e la morte, come lui stesso ebbe a dire. Naturalmente un Pinocchio alla maniera di Nuti, quindi adulto (anche se al contempo "bambino"), malinconico, anzi "malincomico", e sostenuto da un budget faraonico che la Penta (di Cecchi Gori e Berlusconi) accetta di sborsare, pari a 13 miliardi di lire iniziali, che poi leviteranno fino al doppio e oltre, con lo stesso Nuti che ci (ri)metterà del suo, sostanzialmente rinunciando al proprio compenso pur di portare a casa il film. Le traversie produttive furono enormi, vuoi per lo sforamento dei costi dovuto all'idea di grandezza e sfarzo che Nuti aveva per quest'opera, vuoi perché Vittorio Cecchi Gori invece si mostrava tutt'altro che soddisfatto, con un esoso doppio set americano ed italiano, l'impossibilità di rispettare i tempi di uscita in sala (originariamente il Natale del 1993, periodo tradizionalmente favorevole a Nuti), la sopravvenuta morte di Mario Cecchi Gori, una certa insofferenza dell'attore-regista toscano ai dettami della Produzione e qualche screzio con la protagonista femminile Chiara Caselli (perlomeno così si scrisse all'epoca, poi vattelappesca se davvero accadde oppure no). Il film venne montato a tranche, mentre il girato veniva montato si procedeva con lo shooting delle parti successive, sempre nel tentativo di contenere i costi. L'uscita slittò addirittura di un anno (riacciuffando le festività natalizie del 1994), anche per vie delle schermaglie legali tra Cecchi Gori e Nuti, e quando finalmente il pubblicò poté vedere il frutto del lavoro del proprio beniamino le critiche negative fioccarono copiose, la critica stroncò OcchioPinocchio e gli incassi furono di appena 4 miliardi, poco più del 10% dei pesanti costi realizzativi (per un film italiano).
Un contraccolpo durissimo per un già provato Nuti, che in maniera indirettamente proporzionale al proprio successo iniziava a scandagliare le zone buie del proprio Io, incontrando i propri demoni, dalla depressione all'alcolismo, mostrandosi sempre più ombroso e scontroso, cercando soggetti - come questo di Pinocchio - che esaltassero questa sua vena amara e insoddisfatta, decretando di fatto un circolo vizioso. Il pubblico, un po' superficialmente, voleva ancora e soltanto il Nuti più brioso e leggero (benché in assoluto spensierato non lo sia mai stato); Nuti forse anche per reazione cercava maggior densità e profondità, non accettando di essere relegato esclusivamente ad una comicità orizzontale. Più salivano le pretese di uno dei due contendenti, più aumentava l'insoddisfazione dell'altro e viceversa, fino al blackout scatenato da OcchioPinocchio, la Sarajevo di Nuti (o anche il suo Joan Lui). Ci vollero quattro anni prima che Francesco tornasse a dirigere un nuovo film (e stavolta per Medusa), con Il Signor Quindicipalle. Né quello né i due titoli successivi (Io Amo Andrea e Caruso, Zero In Condotta) lo riporteranno sul trono perduto nella prima metà degli anni '90, mettendo inesorabilmente la parola fine alla carriera del regista, il quale subirà incidenti ed infortuni più o meno autoinflitti che ne mineranno persino la sopravvivenza fisica. OcchioPinocchio è molto superiore al giudizio che gli venne riservato all'epoca, ma neppure meritevole - a mio avviso - di alcune rivalutazioni sperticate ed entusiastiche che ha poi ricevuto per mero bastian contrarismo. E' un film che ha pregi e difetti, qualità e punti deboli, e che innanzitutto si presenta con i suoi 22 minuti iniziali come la cosa più lontana dal cinema di Nuti mai fatta da Nuti.
Il suo amico Antonio Petrocelli ricorda che quando entrò in un multisala fiorentino per vederlo, essendo arrivato in ritardo, ebbe la netta sensazione di aver sbagliato sala, tale era lo iato dal "solito" cinema del suo compagno di lavoro. Nuti per 20 minuti non appare sullo schermo e dirige da fuori un incipit tutto americano ambientato nel mondo lussureggiante della finanza più spregiudicata e cinica. Grandi ambienti, berline che si susseguono all'infinito, comparse a decine, schermi intermittenti di computer, uomini in giacca e cravatta, movimenti di macchina di grande magniloquenza e sinuosità, carrelli, dolly, primi piani e campi lunghi. Una cornucopia di cinema dal respiro "internazionale" che ad un certo punto si infrange dapprima sul volto (più smunto del solito) di Francesco Nuti, poi passa in rassegna Novello Novelli ed una serie di vecchietti che tradiscono una cornice di provincia (italiana) che improvvisamente suona decisamente più "familiare". Effettivamente il salto dagli U.S.A. (indefiniti, ma materialmente siamo tra il Texas e la Louisiana) alle borse sotto gli occhi dello stropicciato Novelli è forte e lo si avverte tutto, andata e ritorno. Il Pinocchio di Nuti ricorda da vicino il Forrest Gump di Tom Hanks e curiosamente le due pellicole escono proprio nello stesso anno. I riferimenti a Collodi ci sono, anche se non pedissequi; Lucignolo è Lucy (Chiara Caselli), poi abbiamo un grillo spiaccicato, il ventre della balena, il gatto, il paese dei balocchi (il postribolo dove la Caselli è costretta a vendersi a Mangiafuoco per il passaporto) e Geppetto (Joss Ackland). La Caselli non rientra granché nel "femmineo" amato da Nuti, tuttavia ha il physique du role di una Lucignola impertinente, guascona e trafelata. Abbondando le sue scene di nudo e insomma, pare che Nuti ci sguazzi un po'.
La componente comica è decisamente edulcorata, a fronte di un tono soprattutto grottesco, a tratti cattivo e nichilista, e comunque tendenzialmente più esistenzialista. Il pre-finale "Pinocchio non c'è più" sarebbe stato una chiusa di grande effetto ma avrebbe fatto gelare il sangue nelle vene al pubblico, quindi Nuti optò per un ammorbidimento dei toni, se non proprio solari, perlomeno più onirici. Al netto di una certa poetica della libertà, non è sempre intellegibile dove Nuti voglia andare a parare, lasciando un senso di indeterminatezza ed indefinitezza al viaggio formativo del suo giovane/adulto Pinocchio (per altro il film si potrebbe anche classificare come un road movie). Va anche detto che risulta difficile esprimere un giudizio definitivo su OcchioPinocchio poiché Nuti fu costretto a cassare molte idee e molta pellicola a causa degli aut aut di Cecchi Gori, quindi con molta probabilità la ipotetica director's cut del film avrebbe avuto molti più contenuti e risvolti da analizzare ed amalgamare al contesto. Rimane uno sforzo creativo ammirevole, un uso della macchina da presa molto maturo e professionale, l'esigenza di emanciparsi da una certa fisionomia alla quale il pubblico intendeva inchiodare Nuti; rimane un film imperfetto e irrisolto ma affatto disprezzabile e che in qualche misura costituisce una delle cose più vicine ed empatiche alla vera anima di Francesco Nuti.