Sergio Martino aveva arruolato Banfi e Dorelli per un film a tema unico, con tutt'altra trama, ma per motivi a me oscuri (credo non ultimo il budget, visto che si parlava di ambientazioni desertiche o simili), l'operazione si tradusse in un classico lungometraggio ad episodi, con i due attori a spartirsi equamente le circa due ore di pellicola (e col contributo in sceneggiatura di Bruno Corbucci). Due storie che hanno per filo conduttore la supertizione, la jella nel caso di Banfi, la magia nel caso di Dorelli. Due storie che però non pesano allo stesso modo sul piatto della bilancia, poiché il film è paurosamente sbilanciato sulla prima parte, quella con Banfi, enormemente più divertente, efficace e pungente della seconda, quella con Dorelli, che invece fatica ad ingranare, non morde. Un po' per via degli attori, poco compatibili, ruspante e più abituato a situazioni triviali il primo, sobrio elegante e misurato il secondo; e come sempre accade in questi casi, la troppa morigeratezza non paga, poiché contesto e contorno non si adeguano granché alla nobiltà dorelliana. Banfi impersona il meridionale tipico, terrorizzato dalla sfortuna, provvisto di corna, cornetti, amuleti e rituali voodoo pugliesi per contrastare la malasorte, e soprattutto "l'innomineto", ovvero Mario Scaccia, il nuovo vicino di casa che pare essere uno jettatore potentissimo. Dorelli invece è un prestigiatore di infima categoria, squattrinato e osteggiato dal padre di sua moglie (Mario Brega). Un giorno riceve dei poteri inaspettati da una vecchia strega morente (Paola Borboni) e per un po' la vita torna a sorridergli, grazie alla magia vera che finalmente scorre nelle sue mani. Ma a causa di un banale ritardo delle Poste, non riceve per tempo una missiva della strega che chiedeva di soddisfare un ultimo desiderio (un gelato al pistacchio). Rimasta a bocca asciutta, per ripicca la fattucchiera sottrae i poteri a Dorelli che torna ad essere il pezzente di prima.
Banfi è esplosivo, al top della forma, i suoi giochi linguistici dialettali sono irresistibili così come la sua mimica, unica e esilarante. C'è da dire che pure il cast che lo contorna è all'altezza, la moglie Milena Vukotic "telerincoglionita", che si esprime unicamente citando personaggi televisivi e puntate di soap opera; la figlia Gegia, che incomprensibilmente parla con l'inflessione calabrese, nonostante il padre pugliese e la madre dalla rigorosa dizione teatrale; il fidanzato di Gegia, Carluccio, "bambacione" odiatissimo da Banfi, che ogni volta si presenta succube di qualche moda o credenza religiosa diversa (nichilismo, punk, buddismo); Scaccia, alias Corinto Marchialla, superbo nelle sue espressioni spiritate; Dagmar Lassander, moglie di Scaccia, un po' mortificata da una parte stupida e sessuomane (....però quanto è bona!), che con professionalità ed umiltà accetta di addossarsi; Janet Agren, istruttrice di ginnastica di cui Banfi è innamorato; e poi c'è una serie di personaggi minori, dai due commessi del negozio di televisori di Banfi (buffissima Jessica Leri, la tipa che deve sempre ballare come una deficiente) al commissario Luigi Costa Uzzo, dalla governante di colore con accento napoletano all'immenso Franco Javarone, il "re dell'occulto", interprete di uno strabiliante siparietto esoterico con Banfi da morir dal ridere.
Dorelli non beneficia dello stesso supporto, anzi, viene schiacciato dai suoi comprimari, come Montgnani (suo impresario, ovviamente approfittatore e donnaiolo) sempre gigante, e un Mario Brega super pecoreccio e burino (doppiato per altro da Riccardo Garrone), totalmente antitetico alla comicità di Dorelli; la sua spalla femminile è Adriana Russo, la quale, ancorché bellissima e talentuosa, rimane confinata in un ruolo molto superficiale e poco utile a Dorelli. Non aiutano neanche le gag costruite su di lui, come quella con la Kanakis portata dal marito Roberto Della Casa allo studio di Dorelli per risolvere un problemino piuttosto complicato; la Kanakis è inavvicinabile, baciarla, toccarle i seni o le natiche equivale a prendere la scossa, mentre se si vuole addirittura fare l'amore, scatta l'Osteria numero 20 (a buon intenditor....). Certo, per lo spettatore è una gioia poter godere del fisico della statuaria Kanakis in lingerie, ma quella scenetta non fa per Dorelli, semmai sarebbe andata bene per Montagnani o Gianfranco D'Angelo. Lo stesso dicasi per i contadini che vogliono la pioggia, o per l'iniziale spettaccolino di provincia. Duro anche il contrasto con la Borboni, che interpreta la contessa/strega sboccatissima, ennesimo sconfinamento nella volgarità che contrasta con la misura di Dorelli.
Al dunque, Banfi esce smisuratamente vincitore dal confronto a distanza; divertente che entrambi nel proprio episodio citino l'altro, aprendo una piccola parentesi di metacinema. Banfi, assediato sia dalla Lassander infoiata che dalla Agren, si chiede se tutte quelle donne libidinose non abbiano sbagliato episodio, volendo in realtà accoppiarsi con Dorelli; da parte sua Dorelli, dovendo trovare un paragone di bruttezza con una delle sue cavie da esperimento, cita Banfi a sommo esempio di repellenza. Menzione d'onore per l'ignota biondina che per due volte Montagnani cerca di farsi, sempe interrotto da Dorelli. Tette da paura!