Nero Bifamiliare

Nero Bifamiliare
Nero Bifamiliare

Opera prima del leader dei Tiro Mancino, Federico Zampaglione, che cura anche soggetto e sceneggiatura. Era dai tempi di Tulpa che volevo recuperare questo titolo che mi ero perso. Lo sciacallaggio scatenatosi sul thriller del 2012 di Zampaglione fu strabiliante e tutto sommato, con tutti i suoi limiti, a me Tulpa piacque discretamente. Sono finalmente riuscito a dedicare 90 minuti a Nero Bifamiliare, exploit anch'esso con luci ed ombre - a mio modesto gusto e parere - ma che tutto sommato, come nel caso di Tulpa, ho trovato gradevole. Le atmosfere sono completamente diverse, assai più riconducibili ed omogenee a quelle dei Tiro Mancino (la cui musica purtroppo appesta ... accompagna l'intera pellicola). La vicenda sinteticamente investe due coniugi (Claudia Gerini, all'epoca compagna di Zampaglione) e Luca Lionello (figlio del celebre Oreste) che vanno a vivere nella villetta dei sogni. L'Eden si tramuta ben presto in un incubo, a causa dei difficili rapporti con i vicini di casa, in particolare uno slavo e la sua compagna (Emilio De Marchi e Anna Marcello), sospettati di ogni nefandezza.

Zampaglione sceglie un tono del tutto particolare per raccontare la vicenda. Fondamentalmente si muove sui passi della commedia ma ammanta tutto di una patina surreale, grottesca, a tratti candida, tant'è che viene abbastanza naturale empatizzare con personaggi che in realtà hanno comportamenti eticamente discutibili. Lionello non è esattamente uno stinco di santo, è un ex bambino bullizzato che da adulto decide di prendersi le sue rivincite (di testa anziché muscolari). Mazzette, truffe fiscali ed assicurative sono il suo pane quotidiano, unitamente ad una bulimia per le rateizzazioni di qualsiasi cosa acquisti. Sua moglie è una creatura quasi fiabesca, molto provocante da un punto di vista erotico eppure dall'indole angelicata, totalmente devota al marito. Il mondo che li accoglie vive di espedienti e piccolo cabotaggio, esattamente come loro. Zampaglione esalta questo tipo di cornice e con essa i suoi protagonisti; lo fa sia in termini formali, con una regia dinamica (anche troppo, l'interrogatorio di Barra a Lionello fa venire la nausea), un uso ricercato di luci e fotografia. Zampaglione non si accontenta, non fa come quegli attori che si improvvisano registi (Pieraccioni, Panariello) e girano film banali, piatti e terribilmente didascalici da un punto di vista tecnico. La voce dei Tiro Mancino un po' vuole stupire e il mestiere ce l'ha. Infatti i "se" ed i "ma" sono più sul contenuto che sulla forma, a suo modo comunque personale.

La partenza è buona (a parte la voce narrante off che a me sembra sempre una sconfitta, perché è la scorciatoia più facile e più pigra per introdurre lo spettatore in una storia). Verso metà qualcosa sa di tirato un po' troppo per le lunghe, il finale invece affoga nei buoni sentimenti, nella conciliazione e nel politicamente corretto e, date le premesse, mi sarei invece aspettato esattamente l'opposto. L'epilogo si rivela davvero deludente, tutto è bene quel che finisce bene, manca la cattiveria, il vetriolo, la distonia che quel sapore grottesco preannuncia per tutta la pellicola senza che poi mai si concretizzi veramente. Curioso che la locandina del film, l'immagine divenuta più iconica e rappresentativa, faccia riferimento ad una scena brevissima e del tutto irrilevante, un pezzettino di sogno di Lionello che rimane agli atti solo per la grande peculiarità estetica che Zampaglione infonde a quei pochi secondi, assai sopra le righe. In qualche modo quella immagine finisce per diventare la spia, l'allegoria di una promessa che poi il film non manterrà (perlomeno, non del tutto).

Il cast è sui generis, abbiamo il grande sopravvissuto del cinema di genere  Gianfranco Barra come commissario, De Marchi credibilissimo come slavo intrallazzone, la sua compagna luciferina Anna Marcello che non dice una battuta ma ha uno sguardo che uccide, il divertentissimo medico Yari Gugliucci, ossessionato dalle zanzare (forse la cosa migliore del film, o perlomeno quella che mi ha fatto più ridere). Alcuni personaggi risultano sin troppo caricaturali, Remo Remotti, Teschio, i direttori (tanto quello della compagnia assicurativa di Lionello quanto quello che dovrebbe concedergli il finanziamento), Cinzia Leone (della quale per la verità faccio fatica a ricordarmi un personaggio non caricaturale), il portiere Carmine, interpretato da Ernesto Mahieux (di una sgradevolezza assoluta, in questo caso voluto). Decorativo Max Giusti, così come la sua compagna, della quale rimangono solo i seni. Piccolo cameo senza infamia e senza lode per Adriano Giannini. Nero Bifamiliare si rivela un film senz'altro interessante e complessivamente piacevole, anche considerando che si tratta di un'opera prima, ma non tutto soddisfa, soprattutto quel tono troppo carezzevole che smentisce le aspettative di un'estrosità - appunto - più "nera".

Trailer ufficiale

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