Mani Di Fata

Mani Di Fata
Mani Di Fata

Mani Di Fata vede la coppia Pozzetto/Giorgi alle prese con la gestione del nucleo familiare ed il rovesciamento di ruoli all'interno della tipica famiglia borghese, nella quale il maschio lavora e porta i soldi a casa e la mogliettina è l'angelo del focolare. Già ad inizio film per la verità questo schema non regge, poiché se Pozzetto è un ingegnere progettista, la Giorgi lavora in una maison di moda. C'è crisi però (siamo negli anni '80 ma i petrolieri arabi fanno già dannare) e Pozzetto perde il posto. Inizialmente cerca di nasconderlo alla moglie che invece, contemporaneamente, acquisisce un ruolo di responsabilità e ben remunerato. Pozzetto si ricicla come può e finisce a fare le pulizie in casa propria, risparmiando così un milione e mezzo di paga al mese della donna delle faccende. In un secondo momento, anche a causa di frizioni con la Giorgi, sempre più donna in carriera, Pozzetto diventa il maggiordomo di una nobildonna riccona (la Koscina), assediato per altro da un architetto checca (Maurizio Micheli). I due coniugi portano a casa ben 6 milioni al mese, ma la serenità matrimoniale va in pezzi.

Il film ha un tema interessante, che viene però sviluppato in modo discontinuo, banale, svogliato e stiracchiato. Non lo ritengo uno dei migliori film in cui hanno recitato la Giorgi e Pozzetto; complessivamente la sceneggiatura è un po' sciapa, banale, manca il sale. La vicenda sembra seguire dei binari obbligati, c'è poco spazio per l'estro surreale di Pozzetto. In tal senso, risulta molto migliore la seconda parte, ovvero da quando Pozzetto passa alle dipendenze di una snobissima, ciuffatissima e abbronzatissima contessa Koscina (con tanto di toyboy al guinzaglio). Le dinamiche comiche che si instaurano con un superlativo Micheli danno agio a Pozzetto di volare più alto. La Giorgi è una splendida attrice ed una bellissima donna (veramente siderale in questo film), ma ha un ruolo abbastanza rigido che, al di là dei continui cambi sciantosi di vestiti ed acconciature, non le offre granché. Ci sono ugualmente momenti di vero divertimento, pochi, ma ci sono. Steno dirige stancamente, stereotipando molto (giusto per non calcare la mano sul corto circuito dei ruoli in famiglia - leit motiv del film - si arriva addirittura alla scena nella quale Pozzetto è vestito come un gay e la Giorgi sfoggia un capello cortissimo, giacca e cravatta). La situazione sentimentale dei due è aggravata dalle avances omosessuali dei rispettivi pretendenti, il suddetto architetto Micheli per Pozzetto (nel film, amico e ospite della Koscina), ed una collega bisex per la Giorgi (la bella Elena Roverselli). La Giorgi sin dall'inizio pare essere quella che porta i pantaloni in casa e la sua ascesa professionale la rende sempre più aspra, ambiziosa ed insensibile verso la condizione del marito (e del "proletariato", a tal proposito si veda la scena in cui cazzia la governante per l'arrosto bruciato...ma in realtà la colpa è di Pozzetto, che infatti sbotta); Pozzetto cerca invece di calarsi nei panni della massaia, assumendone anche comportamenti, frustrazioni e manie. Molto positivo l'apporto dei comprimari, dalla Koscina a Micheli, compreso l'Ammiraglio Felice Andreasi e la Roverselli. Film un po' di maniera, godibile più che altro per l'affetto genuino che ogni italiano prova per attori come Pozzetto e la Giorgi. Steno riesce comunque a ricavare una scena - del tutto pretestuosa - nella quale la Giorgi mostra il seno (e pure la Roverselli), piccola concessione al botteghino ed ai pruriti del pubblico pagante e dei produttori.

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