
Nel 1977 negli Usa e poi worldwide esplose la febbre di Star Wars, in Italia fu Star Crash (Luigi Cozzi, 1978) e poi star trash, con tutta una serie di b-movies che tentarono di cavalcare, sfruttare, "exploitare" l'onda lunga del film di Lucas (con relativi seguiti). Tra questi epigoni freak del più celebrato film di fantascienza (popolare) di tutti i tempi va annoverato sicuramente L'Umanoide di Aldo Lado, che pare originariamente fosse nato come una parodia che doveva essere interpretata da Pippo Franco. Vero o meno, il registrò poi cambiò decisamente poiché, al netto del ridicolo involontario, la pellicola di Lado si configurò come un tentativo di proporre in Italia (e con budget assai diversi da quelli di Lucas) la grandeur spazial-avventurosa di Guerre Stellari. Tecnicamente il film poteva contare su nomi e mestieranti di tutto rispetto, da Lado stesso a Castellari (regista della seconda unità), da Antonio Margheriti (supervisore degli effetti speciali) a Ennio Morricone al (modesto) commento sonoro. Nel cast Barbara Bach, Corinne Clery e Ivan Rassimov, ma anche e soprattutto Richard Kiel, lo "squalo" di La Spia Che Mi Amava e Moonraker, un caro amico di James Bond insomma.
Siamo da qualche parte nello spazio e un temibilissimo villain, Lord Graal (Ivan Rassimov), ritenuto nientemeno che il Male incarnato, sta per tornare sul pianeta Metropolis per vendicarsi del fratello, noto come il Grande Fratello (Massimo Serato), leader e legislatore dell'intera comunità. Graal è in combutta con la perversa Lady Agatha (Barbara Bach), sorta di novella Madame Bathory che si nutre di un siero estratto dal sangue di vittime sacrificali, e Kraspin (Arthur Kennedy), scienziato post nazista che ha messo a punto un gas in grado di modificare il dna umano rendendo le persone degli automi forzutissimi e invincibili, assoggettati ad un volere superiore (il suo). Saranno il prode e valente uomo d'azione Nick (Leonard Mann), la dottoressa coscienziosa Barbara Gibson (Corinne Clery) e il misterioso monachino tibetano Tom Tom (Marco Yeh) ad assumersi l'onere di combattere le mire distruttive di Lord Graal. L'Umanoide in questione è Golob (Richard Kiel), pilota spaziale che viene catturato da Kraspin e impiegato come cavia per i suoi esperimenti. Sulla fronte di Golob viene innestato un sensore attraverso il quale passano gli ordini di Kraspin ma, dopo l'intervento di TomTom, l'umanoide si libererà della tirannia, accompagnando gli eroi buoni nella loro missione di resistenza contro Lord Graal.
La pellicola si spalma senza indugi su Star Wars sin dall'inizio, con tanto di antefatto illustrato dal testo che scorre dal basso verso l'alto sullo sfondo dello spazio. Lord Graal è leggerissimamente uguale a Darth Vader, naturalmente in chiave più maccheronica (in effetti si situa a metà tra Vader e Lord Casco) e di conseguenza sono declinati i suoi soldati "imperiali", la cui uniforme è modellata su quella del Jedi oscuro. La voce di Graal è ovviamente filtrata metallicamente (senza che ce ne sia motivo per altro, visto che non indossa una maschera robotica ma ha solo delle cinghie un po' samurai, un po' sadomaso, che gli coprono parzialmente il volto, praticamente una gabbietta). I rimandi sono davvero infiniti; ci sono i velivoli a sollevamento magnetico che sfrecciano nel deserto (uguali a quelli di Luke Skywalker), le scariche laser delle armi sono identiche (anche se gli effetti sonori sono "psiu psiu"), c'è il robottino alla C1-P8 (è un canino che scodinzola con l'antenna posteriore); pur non essendo una principessa il personaggio di Corinne Clery fa molto Leila Organa, quello di Nick è alla Han Solo, mentre il piccolo Tom Tom (praticamente un navigatore satellitare ante litteram) è chiaramente ricalcato sui Jedi buoni. Lado però nutre una predilezione anche per l'universo di Superman, tanto che nel film abbiamo il metallo Krypton e il pianeta Metropolis. Aggiungiamoci i rimandi a "1984" di Orwell (il Grande Fratello) e al golem di Paul Wegener (Golob, oltre che nelle movenze e nelle caratteristiche, lo evoca già nel nome).
Il film è intriso di antani pseudo tecnologici che oggi fanno molto naive. Corinne Clery mentre è al lavoro riceve un "telecom" (una roba a metà tra un'email e un fax forse), esistono i "microminuti", i colpi "neurotossici" e pure quelli "micronucleari". Tom Tom in particolare è un dispensatore di supercazzole filosofiche da far paura. Ogni suo monologo è incomprensibile, pura fuffa new age. La caratterizzazione dei personaggi è marchiana; i buoni sono sempre vestiti di chiaro, con uno stile che oserei definire ellenico, i cattivi sempre di nero, tra il romano imperialista e lo spartano barbarico, e con acconciature assurde (si veda la cofana della povera Barbara Bach). Gli effetti speciali sono ovviamente assolutamente non competitivi. Le plance di comando delle astronavi, per dire, sono praticamente dei mega mixer da sala di registrazione, con pispoli da ruotare e pigiare, e le immancabili lucine. I personaggi sono calati dall'alto, poco contestualizzati, in qualche caso affatto (Tom Tom è davvero astruso, coi suoi angioletti vichinghi al seguito, venuti dall'era del chi-sa-dove del tempo del chi-sa-quando a fare chi-sa-cosa). Interessante, simbolicamente parlando, la genesi e rigenesi di Golob/umanoide nelle acque. Ogni volta che cade nello specchio d'acqua la sua personalità viene plasmata diversamente, da Golob a Umanoide e viceversa, un rimando botticelliano alla Venere o piuttosto una allegoria del Battista? Vabbè, scherzavo.
Premesso tutto ciò, rimane la simpatia verso il coraggio e la passione di costruire artigianalmente un film di fantascienza in un contesto produttivo che non era Hollywood e manco ci si avvicinava, e con un cast che non prevedeva esattamente Alec Guinness, Harrison Ford e Peter Cushing. Detto e ridetto mille volte, quanti film italiani di ambientazione sci-fi vi vengono in mente negli ultimi 20 anni? L'Umanoide avrà mille pecche, andrà al rimorchio di titoli esteri, ha avuto l'ambizione di andare a pescare dove fisiologicamente non poteva avventurarsi, ha mille ingenuità e semplificazioni, ma ci prova e trasmette una genuina, autentica voglia di fare cinema e raccontare storie, chiedendo solo un po' di fanciullesca partecipazione da parte dello spettatore.