Quello di Alfie è un personaggio (che si tramuta in uno stereotipo, il maschio cacciatore di donne, superficiale, edonista, eppure guascone ed irresistibile, motivo per il quale ha sempre successo con il gentil sesso) che ha avuto una sua fortuna al cinema. Inaugurato da Michael Caine con l'omonimo film del 1966, viene riproposto nel 1975 con Alan Price al posto di Caine, un sequel che stavolta si basa sul romanzo scritto nel 1970 da Bill Naughton, sceneggiatore del primo Alfie. Quindi nel 2004 il personaggio verrà ulteriormente reinterpretato da Jude Law nel remake diretto da Charles Shyer. La pellicola con Price riprende lo stesso "mood", lo stesso "stile" dell'originale a cui fa riferimento. Anche qui Alfie tra un'avventura e l'altra rompe la quarta parete e si rivolge direttamente al pubblico. Non accade sin dall'inizio ma a film inoltrato, il che alla prima prende un po' alla sprovvista lo spettatore; Alfie è in una cabina telefonica e guarda in camera, viene da chiedersi con chi stia parlando ma poi il giochino si ripete ed a quel punto diventa chiaro che siamo proprio noi il suo interlocutore, il suo confidente. Il tono del racconto, almeno nel suo incipit, è schiettamente brillante, allegro, una commedia a tutti gli effetti; su questo tappeto si innesta una traccia vagamente erotica - inevitabile considerando il volume di incontri col gentil sesso che Alfie macina - dovuta a qualche nudo ed alla sfilata di ragazze attorno allo stentoreo, mascellatissimo (ed incrollabilmente fiducioso nei propri mezzi) Alfie Elkins. Nulla sembra demotivarlo, non esiste donna che lui non possa far cadere ai propri piedi, giovani, mature, single, sposate, tribolate o "facili", una immensa sterminata pianura di femmine che aspettano solo di essere colte. Bakey (Paul Copley) pende dalle labbra del suo amico Alfie, vorrebbe essere come lui ed in qualche misura incarna lo spettatore di sesso maschile che ammira le peripezie del supereroe fallico, colui il quale riscatterà la categoria e gli garantirà un posto nel Valhalla.
Tra le tante conquiste di Alfie c'è la splendida Joan Collins nel ruolo di Joan Collins, ovvero il suo classico personaggio di donna di mezza età, voracissima sessualmente, dalla moralità non esattamente di ferro, ben disposta a sollazzarsi con l'aitante ragazzotto instancabile a letto. La sua presenza in scena è breve ma incisiva, come sempre (...e non solo per la statura d'attrice). Le cose si complicano per Alfie quando si imbatte in una donna che non cede e continua a non cedere nonostante le insistenze. Più lui si incaponisce più lei tiene il punto, e non per vanagloria o snoberia ma argomentando sempre con lucidità. Alfie va in confusione e ne fa una questione di principio. - SPOILER: accade che Abby (Jill Townsend) accetta la corte di Alfie finendo con l'apprezzarne la determinazione e la testardaggine, e scorgendo in lui qualcosa di più sfumato e profondo del semplice machismo. Aflie mira a portarla a letto ed alla fine lei, quasi per rassegnazione, lo lascia fare, convinta di poter coltivare anche un "dopo", ma forse per la prima volta in vita sua Alfie fa cilecca e questo turba più lui che lei (dispostissima ad andare oltre). Alfie entra in crisi anche perché dopo si convince che il motivo della défaillance sia il suo innamoramento del tutto imprevisto per Abby.
Da questo momento il film cambia il proprio codice. Per la verità, quasi senza accorgercene eravamo già scivolati nel romanticismo, abbandonando l'aspetto più piccante. Ma proseguendo, la sceneggiatura si trasforma ulteriormente sfociando apertamente nel dramma, con un finale che eleva a potenza quanto già visto con Michael Caine. Se in quel caso Alfie rimaneva semplicemente scornato sentimentalmente dopo essersi messo in discussione, qui è proprio il destino ad accanirsi su di lui (ma per la verità anche con Abby). Gli ultimi 5 minuti di pellicola arrivano come una tranvata sulle gengive e sconvolgono completamente il registro - ancorché articolato - del film. Devo dire di non aver apprezzato particolarmente questa scelta, ha un che di forzato, di cinico, di opportunista, quasi a punire Alfie e con lui (inevitabilmente) lo spettatore. Non mi pareva ce ne fosse bisogno, si potevano adottare mille altre soluzioni, ma forse l'impeto moralistico deve aver prevalso, annientando l'intera costruzione narrativa come in preda ad una furia catartica e cieca (come spesso accade con le catarsi). Impossibile non pensare che il precedente di Love Story (1970) non abbia giocato un ruolo in tale deriva. Questo, unitamente al tristissimo e squallido titolo (alla Lando Buzzanca) apposto dai distributori italiani ad una pellicola che in originale si chiama Alfie Darling (la cui continuità con il film con Michael Caine stava anche nel nome del personaggio, e conseguentemente nel titolo), mi ha lasciato l'amaro in bocca a fine visione. Peccato perché in fondo si tratta di un buon film, almeno per 3/4, con un Alan Price a tratti irresistibile, autore anche della colonna sonora (ricordo che stiamo parlando del tastierista dei The Animals), davvero gradevole.