Nulla so di Paolo Zucca e dei suoi trascorsi, fatto sta che il Signor Zucca firma nel 2013 L'Arbitro, film omonimo di quello con Buzzanca del '74, ma che assai poco ha a che vedere con le imprese di Carmelo Lo Cascio, se non il fatto che entrambi gli arbitri sono ambiziosi e mirano alle competizioni internazionali. Qui poi l'arbitro è Stefano Accorsi, figuriamoci, come paragonare gli Atomic Rooster a Gigi D'Alessio. Siamo in terra di Sardegna, incorniciata da un bianco e nero onirico e metafisico, in un campionato di ultimerrima categoria si battagliano le squadre dell'Atletico Pabarile e del Montecrastu, rivalissime, come dire pisani e fiorentini. Il Pabarile per la verità perde ogni partita, è allenato da Prospero (Benito Urgu), un coach cieco, e sembra destinato all'umiliazione perenne, mentre il Montecrastu, diretto dal volitivo e testosteronico Alessio Di Clemente, si assicura vittoria su vittoria grazie a buon gioco unito ad arroganza e sfrontatezza. Qualcosa però negli equilibri del campionato cambia: dall'Argentina torna al paese Matzutzi, figlio di "Sventura", vecchio emigrato in cerca di fortuna (che non ha trovato). Matzutzi è un vero fuoriclasse del calcio, viene subito cooptato per risollevare le sorti del Pabarile, riuscendoci magnificamente, fino all'ultima partita decisiva: lo scontro diretto con gli arcinemici del Montecrastu. Su questa trama principale si incastonano varie sottotrame; quella parallela dell'arbitro Cruciani che aspira a dirigere una finale internazionale (storia a sé stante che solo sul finale si ricongiunge a quella principale), quella di Matzutzi che in paese fa disperatamente il filo a Miranda (Geppi Cucciari), figlia di Prospero, e quella tutta incentrata sulla ruralità pastorizia che vede contrapporsi in una faida sanguinaria due giocatori del Montecrastu, un giovane e un anziano.
La cifra interessante del film è l'atmosfera surreale, sospesa, visionaria ed estetizzante che ammanta fatti e personaggi. Zucca narra le sue storie come se fossero ambientate nella Terra di Mezzo, un luogo fantastico dove tutto assume significati e simbolismi eclatanti. Basti pensare alle pose plastiche di Accorsi durante le sue direzioni di gara, ma non solo, anche in fase di preparazione, negli spogliatoi, quando compie veri e propri rituali "religiosi" per preparsi alla partita. La sua visione delle cose, le sue frasi solenni, la sua concezione del gioco, dei giocatori, del regolamento e del proprio ruolo di arbitro, assumono connotati mistici, messianici, apocalittici. Così come da "fine dei tempi" è lo scontro (forse millenario) tra pabarilesi e montecrastini (-crastani? - crastuni?), come fossero Atene contro Sparta, il Bene contro il Male. L'epos (grottesco) di queste battaglie è smorzato dalla comicità del corteggiamento di Matzutzi alla Cucciari, deliziosa in questo ruolo, una schermaglia all'insegna del cinismo e del sarcasmo. Poetico il personaggio dell'allenatore Brai, macchiettistico quello dell'arbitro Mureno (Francesco Pannofino), il cui cognome già evoca scenari tristemente noti ai tifosi di calcio. Pannofino appare per una decina di minuti in uno dei suoi (oramai innumerevoli) ruolo stupidi e insulsi che appiattiscono, a mio parere, un attore che avrebbe invece molte freccie al suo arco. C'è pure Marco Messeri, designatore arbitrale fetidissimo, che conduce Cruciani sulla via della perdizione. Accorsi è Accorsi, o ti piace o lo detesti (lascio a voi indovinare da che parte tiri il vento a Cineraglio....), ma va detto che la sua innata antipatia si presta benissimo al ruolo che deve interpretare. Jacopo Cullin interpreta brillantemente Matzutzi, impagabile la sua camminata, qualcosa a metà strada tra Tony Manero e un Ewok
Rimane avulsa dall'insieme la guerra che si combattono i due giocatori del Montecrastu, scatenata dall'uccisione di un agnellino da parte del giovane. Il giocatore anziano, pastore e proprietario del gregge, risponde colpo su colpo, fino al violentissimo finale. Questa parentesi restituisce allo spettatore uno spaccato molto concreto della Sardegnaa più arcaica, ma poco ha a che vedere col resto del film, se non tentare di dare quante più sfumature possibili del contesto in cui tutta la vicenda è ambientata. Le partite di calcio sono una scarnificante guerriglia che si gioca nella polvere, in campi strappati alle sterpaglie sulle alture sarde, mentre il pubblico incombe sulle linee di gioco. A tratti si respira quasi un'aria western. Ecco perché quando l'elegantissimo Cruciani si ritrova su quei campi improvvisati lo stordimento è forte. Uso delle musiche particolare, anch'esse estremamente forbite e aristocratiche rispetto alla sanguigna Sardegna.