
Goschenko arriva in piena Guerra Fredda ed è lo sviluppo su celluloide del romanzo The Spy firmato Paul Thomas, risalente all'anno precedente. Il film è forse più noto negli annali per la scia di disgrazie che si porta dietro che per il suo reale valore. Il regista belga Raoul Lévy si suicidò due mesi dopo l'uscita nelle sale (la notte di Capodanno del 1966). Montgomery Clift, interprete principale - già gravemente malato durante la lavorazione - dà qui la sua ultima prova davanti ad una macchina da presa. Morì ancora prima che il film fosse completato, tra la fase delle riprese ed il montaggio. Nel 1976 avrebbe dovuto girare Riflessi In Un Occhio D'Oro con la sua grande amica Elizabeth Taylor ma, come è noto, quel ruolo andò poi a Marlon Brando. Nonostante le sue precarie condizioni di salute, l'attore americano si impegnò al massimo, pur nei panni di un compassato e molto misurato fisico improvvisatosi spia al servizio del governo americano nella città di Lipsia dell'allora Germania Est. La sua interpretazione venne molto lodata e celebrata, complice molto probabilmente anche il triste destino che lo attendeva dietro l'angolo. Con lui avrebbe dovuto recitare Monica Vitti nei panni dell'infermiera Fried Hoffman, ma i tempi di lavorazione del film fecero saltare il suo contributo. Dopo una lunga lista di eventuali sostitute, si approdò a Macha Méril. Memorabili i confronti verbali (ma anche di sguardi e di silenzi) tra Clift e Hardy Krüger, la sua controparte comunista, incaricata dallo spionaggio filosovietico di tenere a bada il Professor Bower (Clift), fraternizzare con lui e convincerlo addirittura a tradire il proprio paese per passare al servizio (scientifico) della Germania rossa.
La forza di Bower tuttavia sta proprio nell'essere completamente al di fuori della politica e di mirare unicamente ad un pragmatismo della conoscenza che possa essere utile al futuro della scienza ed alle sue applicazioni nel mondo occidentale. Da parte sua pure Heinzman (Krüger) è tutto sommato consapevole che i metodi del regime che lo stipendia e lo finanzia sono discutibili ed inquietanti, ed il finale del film spingerà molto in quella direzione. L'Affare Goschenko (dal nome di un accademico millantatore che rischia di mandare in crisi i rapporti diplomatici tra Est ed Ovest) è una storia che procede con molta austerità e sobrietà, rifuggendo una caratterizzazione tesa ed adrenalinica, affidandosi invece a tempi morbidi e molto razionali (decisamente lucidi e razionali sono pure l'approccio ed il punto di vista dei due antagonisti Clift e Krüger). Tranne forse in un paio di occasioni più "estrose", come l'esperimento di manipolazione psicologica al quale viene - suo malgrado - sottoposto Bower all'arrivo a Lipsia, nella sua camera d'albergo, ed il suo tentativo di fuga dalla Germania con mezzi di fortuna, finendo persino col dover attraversare a nuoto un fiume minato. L'atmosfera claustrofobica del regime comunista del dopoguerra è resa egregiamente, si respira la paura di compiere la minima azione col timore di incappare in qualche militare che alzi anche solo un sopracciglio in segno di disapprovazione. "Purtroppo" risultano estremamente congeniali alcuni segni esteriori ed evidenti della malattia di Clift, come il tremore delle mani, lo sguardo allucinato ed un fisico allampanato. Jean-Luc Godard ha un piccolo ruolo nella parte di una spia che fa il doppio gioco. Non un film memorabile o imprescindibile magari, tuttavia uno spaccato abbastanza fedele e convincente del periodo, che si lascia guardare gradevolmente, anche per il suo puntare più sul clima e sulla cornice di fondo che sul (solito) aspetto marcatamente thriller.