
All'indomani delle piume di cristallo argentiane e del relativo successo raccolto in sala, i gialli zoofili andavano come il pane, un circo Togni di animali sempre connessi a terribili assassini e ammazzamenti spettacolari, in un crescendo di glamour killing che avrebbe portato lo stesso Argento ad innamorarsi perdutamente del profondo rosso e di molti altri colori derivanti dal mondo delle fiabe e dall'eredità di Mario Bava. Tra questi, ad appena un anno di distanza dall'esordio di Argento, ci fu anche La Tarantola Dal Ventre Nero di Paolo Cavara, già aiuto regista (e qualcosa di più) di Jacopetti per i suoi Mondo movies. La Tarantola è un film su commissione, voluto dal produttore Marcello Danon (quello della Da.Na Film) che ne curò anche il soggetto. La sceneggiatura venne affidata a Lucilla Lukas, penna nell'orbita di Tonino Guerra. Il film venne girato in Italia con un cast tecnico italiano, un cast artistico internazionale e soprattutto un respiro e finalità internazionali. L'idea era andare bene anche e soprattutto all'estero, dove per altro il nome di Argento avrebbe conquistato molti consensi ed estimatori.
Un serial killer agisce in città, prende di mira donne belle e piacenti, ma con qualche peccatuccio "morale". Il rituale è sempre lo stesso, la donna viene prima immobilizzata con una tecnica derivata dall'agopuntura, quindi - lucida ma immobilizzata ed impotente - sventrata, alla stessa maniera della vespa con la tarantola, come scientificamente ci viene mostrato durante il film da un entomologo coinvolto nelle indagini. Del caso si oocupa il dolente e stropicciato commissario Tellini (Giancarlo Giannini). - SPOILER: Con il progredire delle indagini i sospetti convogliano tutti su di un salone di massaggi. La proprietaria, d'accordo con un fotografo, ricattava le sue clienti, tuttavia il vero colpevole è il massaggiatore (finto) cieco, mosso da frustrazioni personali che riversa sulle sue clienti troppo disinibite.
Il progressivo disvelamento dei misteri criminali è certamente una delle molle d'interesse di questo film, unitamente ai contenuti ammiccamenti erotici femminili, al buon cast e alle spettacolari tecniche di uccisione dell'assassino, tuttavia, oltre alla trama prettamente gialla, è meritevole sottolineare l'attenzione che la storia pone sul personaggio del commissario. Giannini dà corpo e anima ad un uomo stanco e nauseato dal suo lavoro e dal male che giocoforza lo compenetra. Più va avanti più Tellini non vuole continuare, dice di non sentirsi "tagliato" per il mestiere, che invece svolge coscienziosamente e con competenza, non lasciando nulla di intentato ed avendo cura ed attenzione per ogni minimo particolare che possa condurre alla scoperta dell'identità del maniaco omicida. Sono sue tutte le intuizioni, suo il merito della fine della carneficina, anche se rischia di pagarla a caro prezzo. La Tarantola Dal Ventre Nero è un buon film di mestiere, che non inventa nulla ma svolge ottimamente il compito di inserirsi in un solco e valorizzarlo al meglio, secondo gli stilemi ed i cliché previsti dal filone. La risoluzione dell'enigma forse non è brillantissima, soprattutto le motivazioni che spingono l'assassino ad uccidere sono blande e tirate via (oltre che sempre le "solite"), ma a quel punto l'adrenalina è già calata,, il meglio lo abbiamo visto scorrere sullo schermo, ed il nostro bisogno di spavento ed eccitazione è stato soddisfatto.
Notevolissimo il parterre di attrici, dalla Sandrelli a Barbara Bach, da Claudine Auger a Barabara Bouchet, da Annabella Incontrera a Rossella Falk. Accreditata anche una giovane Eleonora Giorgi tra le addette della beauty farm. Tra i maschietti, oltre al commissario, il sottile e sempre ambiguo Eugene Walter, un Silvano Tranquilli in versione vecchio maschio d'antan tutto d'un pezzo, il fotografo corrotto Giancarlo Prete, il massaggiatore cieco Ezio Marano (beato lui, sotto le sue grinfie passa la Bouchet!) e lo scalcinato ma efficace investigatore Catapulta (Ettore Mattia). Un film col baricentro decisamente più femminile (e persino un accenno saffico), anche se le donne sono vittime sacrificali. La Bouchet in particolare venne scelta per il preciso motivo di essersi resa disponibile alle scene di nudo (anche se piuttosto caste), pratica che le italiane sembravano non gradire troppo (perlomeno davanti alla MdP). Citazionistica la scena dell'assassinio tra i manichini dell'atelier (ovviamente Bava) e forse, a suo modo (più ideale che contenutistico) anche quella iniziale, che a me ha fatto venire in mente Barbarella, solo che qui Barbarella è Barbarella Bouchet, mentre lì era Jane Fonda. Un bel clima, musiche di Morricone mai banali ed una scena finale alla Martin Scorsese, con l'ispettore provato e stanco della vita, che si perde come una comparsa nella fiumana di persone tra le vie della città.