La Scuola Dell’Odio

La Scuola Dell’Odio
La Scuola Dell’Odio

Tutti ne parlano come di un film di Stanley Kramer, compreso Sidney Poitier, anche se in effetti Kramer qui si sarebbe limitato solo a produrre, mentre la regia sarebbe appannaggio di Hubert Cornfield. Forse Kramer ha avuto un'influenza più pesante sul film che quella "esterna" riservata ad un produttore, e del resto l'uomo non era esattamente tascabile e irrilevante. La Scuola Dell'Odio in originale si chiama Pressure Point, locuzione che corrisponde esattamente alla sintesi della storia raccontata in 91 minuti di tensione assoluta. Il film esce nel 1962, un anno piuttosto coraggioso per portare al cinema la vicenda di un galeotto neonazista bianco cristiano che deve farsi curare dallo psichiatra del penitenziario, nero (anzi "negro" come si diceva nei film di allora). Poitier ha sostenuto che quella di Kramer fu una scelta tutta politica, poiché secondo Poitier non era strettamente rilevante che il medico fosse un nero (contro un bianco). Il punto focale della storia è invece proprio il potere, l'esercizio di esso ed i rapporti di forza che lo regolano. Quindi se da un verso il nocciolo è l'ideologia ariana di Bobby Darin, dall'altra questo si sposa benissimo con la questione razziale ed aggiunge ulteriore benzina sul fuoco. Il film è ambientato durante la seconda guerra mondiale e nel carcere di "qualche parte negli Stati Uniti" le azioni del Terzo Reich riecheggiano ardite e poderose, affascinando le menti più predisposte. Simpatizzanti ne auspicano il trionfo e il trasferimento anche Oltreoceano, così da togliere finalmente dalla circolazione ebrei e negri. Questo il contesto nel quale Darin deve sottoporsi alle visite di Sidney Poitier.

Il linguaggio è fondamentale in questa pellicola. Intanto il racconto è in forma di flashback; dopo un breve prologo iniziale nel quale un vecchio Poitier cerca di dissuadere l'esasperato psicologo Peter Falk dal mollare un paziente di colore totalmente refrattario alle sue cure per mero odio razziale (alla rovescia), il protagonista rievoca quanto accadutogli ventanni prima, perché l'esempio sia paradigmatico per Falk che adesso si trova in una situazione speculare. Prende il via dunque la battaglia tra Poitier e Darin. La dinamica tra i due è violentissima e affilata come la lama di un rasoio. L'orgoglio provocatore e sfrontato di Darin di schianta contro il sofferto tentativo di Poitier di mantenere una maschera professionale e non cedere alla tentazione di mollare (o peggio, punire) il proprio paziente. La lotta emotiva tra i due è senza quartiere. Darin soffre di incubi legati alla sua infanzia e ad una vita problematica. Deontologicamente corretto, Poitier lo allevia delle proprie sofferenze, ma nel far ciò accresce le proprie, dovendo subire angherie e insulti di ogni risma. - SPOILER: il finale è amaro, perché il potere carcerario crede al neonazista, il quale mentendo e dissimulando riesce ad ottenere la scarcerazione, nonostante la ferma opposizione dello psichiatra che conosce fin nel profondo la vera indole dell'uomo. Darin ha vinto, ha dimostrato a Poitier che il suo status di negro, ovvero di debolezza ed inferiorità, è destinato a soccombere nonostante tutto.

Il linguaggio si diceva; oltre ai flashback, lo stile narrativo adotta vere e proprie fughe dalla realtà, allucinazioni che irrompono nella scena e creano un metamondo onirico nel quale il ricordo diventa realtà e la realtà vera si fa da parte. Darin parla con la sua voce di bambino, Poitier assiste come uno spettatore ai suoi deliri, ne è quasi parte attiva. Una cifra che rasenta quasi l'espressionismo, anche grazie ai fenomenali giochi di luce ed ombra di un bianco e nero fiammeggiante (metafora del bianco e nero che agiscono anche dentro la sceneggiatura). Se il sentimento etico e morale è fortissimo, e ci si mette un attimo a sposare l'indignazione civile di Poitier (che poi è quella di Kramer, del regista e della linea tematica del film, senza possibilità di equivoci), alcuni dialoghi risultano ugualmente troppo didascalici e semplificatori. Darin è un neonazista fondamentalmente a causa della pessima infanzia appestata da una figura paterna squallida e violenta  Il suo antisemitismo deriva perlopiù dal fatto che il padre della ragazza con la quale coltivava una simpatia gli proibì di vedere la figlia e quella era una famiglia di ebrei. Tutto sommato la negatività dell'anima di Darin segue un percorso poco tortuoso e molto lineare, algebrico, la sua crudeltà e la voglia di rivalsa verso il prossimo sono lo specchio fedele di ciò che ha subito. Poitier lo smaschera con relativa facilità e complessivamente l'analisi rimane in superficie, così come il rimbrotto finale che Poitier rivolge a Darin, prima di dover prendere atto della propria sconfitta, assomiglia più ad uno sfogo di pancia che ad un dialogo che rimarrà nella storia del cinema.

E' interessante l'uso dello "stress" che il film dispiega, sia da parte di Darin verso Poitier che viceversa, entrambi raggiungono il "pressure point" e questo genera a sua volta delle conseguenze. Su questa trama squisitamente psicanalitica si innesta la riflessione culturale, politica e filosofica che però, per quanto condivisibile, è appesantita da un certo pedagogismo edificante e precettistico. Rimangono agli atti delle interpretazioni fenomenali, tanto quella di Darin quanto quella di Poitier, entrambi degni di un Oscar. La psichiatria è vista come un'energia purificatrice e catartica, totalmente positiva ed indispensabile a guarire le malattie delle persone. La Scuola Dell'Odio rientra in quel novero di pellicole di grande impegno civile del vecchio cinema americano, come La Parola Ai Giurati, Indovina Chi Viene A Cena? (proprio di Stanley Kramer), Il Buio Oltre La Siepe, etc., e per molte delle tematiche proposte rimane (purtroppo) drammaticamente attuale, anche se con un codice linguistico un po' datato. Un film da vedere almeno una volta nella vita.

Trailer ufficiale

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