La Morte Può Attendere

La Morte Può Attendere
La Morte Può Attendere

In occasione del quarantennale di Agente 007 - Licenza di Uccidere, il Bond movie numero 20 viene affidato nelle mani di Lee Tamahori, apprezzatissimo regista (soprattutto da Barbara Broccoli) di Once Were Warriors, film agli antipodi di James Bond, ovvero basso budget, cinema indipendente e fortemente connotato geograficamente. Tuttavia si intendeva mettersi nelle mani di un autore vero, forse per dare nuovo spessore e profondità a James Bond dopo due decenni di avventure, ed così che il regista neozelandese diventa il nono regista a maneggiare la mastodontica macchina di intrattenimento nata dalla fantasia di Ian Fleming (oramai sempre più lontano nel tempo e padre nobile del personaggio). L'impianto complessivo stavolta è davvero ai limiti della megalomania, Tamahori dirige anche 4 o 5 unità di regia contemporaneamente, i set sono grandiosi e paradossalmente a poche settimane dall'inizio delle riprese non esiste una sceneggiatura fissata nero su bianco in via definitiva ed anche i ruoli nel cast non sono assegnati. Alla fine il progetto si compone e La Morte Può Attendere prende forma secondo il volere di Tamahori. L'impressione che se ne ricava da spettatore è di qualcosa di estremamente ambizioso e di una briglia andata completamente fuori misura. Già l'inizio è differente da qualsiasi altra prova precedente; l'antefatto che precede la gun barrel anziché vedere Bond risolvere la prima magagna del film lo lascia in mani nemiche (quelle dell'esercito della Corea del Nord), ostaggio picchiato e torturato per addirittura 14 mesi, tanto da ridurlo nello stato di un novello Conte di Montecristo (il clima è già quello del post 11 settembre 2001).

Quando infine Bond viene liberato, mediante uno scambio di ostaggi, viene duramente stigmatizzato da M (sempre Judi Dench) per non essersi suicidato ed aver impegnato il suo governo in una sofferta e gravosa trattativa, inoltre James è sospettato di aver ceduto segreti sotto tortura. Incipit duro e severo, difficile da immaginare nel contesto di 007. Quindi il film si dipana come una sorta di (nuova) vendetta privata, anche perché a Bond è revocata la licenza di uccidere (i due zero). Col prosieguo delle sue imprese, il quadro formale si ristabilisce secondo regola, Bond riguadagna la fiducia di M e porta a termine (ora anche per il suo governo) la missione, per altro affiancato da un'altra spia, naturalmente donna e sensuale, Jinx (Halle Berry). La storia è puntellata di personaggi davvero estremi. Stavolta il comparto degli antagonisti supera ogni aspettativa, o meglio, ogni credibilità. Abbiamo un colonnello coreano che grazie ad una terapia che prevede la "sostituzione del dna" (eseguita in una clinica come fosse un lifting) si trasforma da Will Yun Lee in Toby Stephens. Tratti somatici completamente diversi e lingua (dal coreano all'inglese) evidentemente perfettamente dissimulata. A lui si aggiunge una specie di Mr. Freeze, Rick Yune truccato come un cadaverico bestione pelato il cui volto è deturpato da schegge di diamante che Bond gli ha fatto esplodere addosso, ed i cui occhi sono gelidi come il mare d'Islanda. Le fattezze dello sgherro del villain ricordano non poco quelle del cattivo di Schwarzenegger di Batman E Robin di Schumacher (1997). Questa coppia di nemici dell'umanità è spinta molto al limite ma fa il paio con tutto il mondo che circonda Bond in questa missione. I gadget tecnologici sono in pieno territorio fantascientifico (la maschera che consente la terapia genica, la macchina invisibile) e le imprese compiute dall'agente segreto sfiorano più volte il ridicolo (come ad esempio la fuga sulle onde provocata dallo scioglimento di una lastra di ghiaccio, una sequenza interamente realizzata in computer grafica, di una bruttezza rara e soprattutto del tutto non-credibile). Siamo in un film Marvel anzitempo, James Bond non è né più né meno che un supereroe (senza tutina ma con lo smoking), al quale è permessa qualsiasi deroga delle leggi spazio tempo (fisica, gravità, etc), il cui mondo è fatto di cose incredibili.

Con questo approccio la pellicola scade tantissimo. Bond si è sempre mosso sul crinale della simulazione della realtà, naturalmente elevata a meraviglia, ma qui viene perso ogni freno inibitorio e il film diventa quasi insostenibile per esagerazione e millanteria. A tratti persino Pierce Brosnan sembra tradire qualche spaesamento per questa svolta "ai confini della realtà". Se a qualcuno Moonraker era sembrato "troppo", beh, al cospetto di La Morte Può Attendere quella era nouvelle vague. Desmond Llewelyn, come è noto, è passato a miglior vita ed il nuovo Q è stabilmente John Cleese (stabilmente si fa per dire, con l'arrivo del super duro Daniel Craig, pure lui verrà silurato), Moneypenny è ancora Samantha Bond (che stavolta vive un'esperienza "inaspettata"); il comparto Bond girl vede Halle Barry all'inseguimento di Ursula Andress (stesso bikini, anche se di diverso colore, stessa uscita botticelliana dalle acque), chiaramente con un seno aggiornato agli anni 2000, dunque sensibilmente più tronfio. Il suo personaggio è a tutti gli effetti un alter ego di Bond al femminile. Poi c'è Rosamund Pike, doppiogiochista che prosegue un po' la scia di Elektra King/Sophie Marceau (Il Mondo Non Basta). Cameo deluxe per Madonna, insegnante di scherma, omaggiata per il suo contributo al film con la theme song che dà il titolo alla pellicola. Canzone solitamente sgradita ai fan della serie; personalmente l'apprezzo ma l'errore di fondo è stato commissionarla a Madonna aspettandosi che l'artista si sarebbe conformata al franchise, nel suo caso ovviamente (ma era lecito immaginarlo) è stato il franchise a piegarsi alle sonorità di Madonna, tant'è che "Die Another Day" non ha niente di bondiano. Divertente il videoclip del pezzo che scimmiotta quanto accade nel film, con protagonista però Madonna. Tante le citazioni sparse nel film, dalla suddetta Andress all'incontro di spade (con frantumazioni annesse) già visto in Moonraker (la sequenza del kendo), dal laser di Goldfinger (che qui si abbatte sulla Berry) al jetpack di Thunderball, etc. In un'intervista Tamahori dichiarava di temere la sensazione di essere il regista che avrebbe deturpato Bond o che avrebbe realizzato magari il peggior capitolo della serie. Non so se sia il peggiore ma di certo, per quanto mi riguarda, si piazza a fondo classifica.

Trailer ufficiale

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