
La storia produttiva di Joan Lui non ha forse eguali nel cinema italiano. Vanno evocati I Cancelli Del Cielo di Michael Cimino o qualche altra epopea d'Oltreoceano per trovare dei termini di paragone credibili. A metà anni '80 Adriano Celentano era la gallina dalle uova d'oro per quanto riguardava la commedia italiana, eppure sin dai tardi '70 il Molleggiato si era messo in testa di girare una pellicola che riguardasse l'avvento di un nuovo cristianesimo, ovvero il ritorno di Cristo sulla Terra. Raggiunto uno status tale che nessun produttore avrebbe potuto ulteriormente negargli la realizzazione di questo grande sogno, Celentano ottiene finalmente i finanziamenti da Cecchi Gori (a cui poi si unirà anche Silvio Berlusconi col contributo dei marchi della Germania dell'Ovest), a patto che si impegni anche per altri due film, Lui E' Peggio Di Me (da produrre prima) e Il Burbero (da produrre dopo). Prende avvio così l'epopea di Joan Lui - Ma Un Giorno Nel Paese Arrivo Io Di Lunedì, scritto, diretto, montato, musicato ed interpretato da Celentano, il quale per altro nel film è "solo" un novello Gesù. Il film orgogliosamente dichiara subito dopo i titoli di testa che un troupe come quella non l'aveva mai avuta nessuno, una troupe che gira una quantità enorme di materiale e che inizialmente confluisce in un montaggio di 163 minuti, la versione che uscirà nelle sale il giorno di Natale del 1985. L'accoglienza fu disastrosa. Al di là della curiosità di vedere Celentano cimentarsi in qualcosa di completamente diverso da pellicole come Il Bisbetico Domato, Asso, Segni Particolari Bellissimo, Bingo Bongo, Joan Lui era qualcosa di impensabile per lo spettatore natalizio italiano medio; la durata scoraggiò in primis i proprietari delle sale cinematografiche, costretti a sole tre proiezioni giornaliere, con un conseguente introito deficitario. Per tutta risposta Cecchi Gori, all'insaputa di Celentano, ritirò dalle sale il film, lo fece rimontare in fretta e furia e lo ripropose con una durata di 133 minuti, permettendo una quarta programmazione quotidiana nelle sale italiane. La cosa arrivò all'orecchio di Celentano il quale andò su tutte le furie e si rivolse ai tribunali. Il pronunciamento favorevole all'attore (con conseguente richiesta di sequestro del film) giunse però quando Joan Lui era già stato ritirato dai cinema per scarsi incassi. A fronte di un esborso stimato sui 20 miliardi di lire di allora, i biglietti ne portarono poco più di 7. Successivamente lo stesso Celentano rimise mano al montaggio, approntando una versione cosiddetta "televisiva" di 125 minuti, diffusa poi anche in homevideo.
Dagli Usa arrivarono decine e decine di ballerini a costituire il corpo di ballo, i quali alloggiarono a Roma a spese della produzione, trascorrendo settimane in attesa di essere impiegati sul set (che fu a Genova). Le scenografie di Lorenzo Baraldi erano mastodontiche, il cast numerosissimo e la sceneggiatura piuttosto complessa (ancorché sconclusionata) da mettere in opera. Elicotteri, aerei, esplosioni, inseguimenti, terremoti e sconquassi, Celentano era deciso a non farsi mancare nulla in un film che, primariamente strutturato secondo i canoni del musical, includeva al suo interno una molteplicità di suggestioni e variazioni, da elementi western (l'incipit sul treno a vapore), a quelli action e simil polizieschi (il rapimento di Federica Moro/Emanuela Carboni, chiaramente ispirato a quello di Emanuela Orlandi), da quelli comici (i siparietti con Gian Fabio Bosco e Mirko Setaro) a quelli danzerecci, fino a spunti schiettamente horror (l'incubo di Marthe Keller/Giuda, il finale apocalittico, mutilazioni e dissanguamenti), blasfemi (le feci gettate dal diavolo Haruhiko Yamanouchi sul crocifisso a immagine di Celentano) ed erotici (le mise delle ballerine, il seno nudo dell'amante del capo della polizia, le cosce esibite di Marthe Keller, il balletto di Claudia Mori durante la canzone "Splendida E Nuda"). Verrebbe facile dire che Joan Lui sia un mirabolante esercizio di megalomania, un delirio di onnipotenza affogato nel kitsch, nel pacchiano, nel trash, nell'esagerazione, nell'insensatezza, fuori da ogni gusto e misura, una sbruffonata di chi ha ritenuto di potere ogni cosa, realizzando qualsiasi capriccio gli venisse in mente. D'altra parte è altrettanto vero che proprio per questo Joan Lui è un film assurdamente magnetico, ambizioso e coraggioso, tanto distruttivo quanto creativo, indubbiamente diverso da qualsiasi altro titolo del panorama nazionale. Come è stato possibile che tutti gli attori (tecnici ed artistici) coinvolti nel progetto non abbiano inteso mettere alcun freno all'impeto celentanesco, permettendogli di scavarsi la fossa in modo così gargantuesco? Dopo Joan Lui, Adriano realizzerà (mal volentieri) Il Burbero, per obblighi contrattuali, e poi sostanzialmente la sua carriera cinematografica terminerà lì (fatta eccezione per fanta-ecologista Jackpot di Mario Orfini del 1992, uletriore flop).
Per dare un'idea di quanto Celentano sia tutto, uno e trino, in questo film, nella canzone "Mistero" (che vede il confronto tra Joan Lui e il Maligno) Celentano arriva a cantare persino l'assolo di chitarra. La colonna sonora merita una menzione; per quanto coerentemente kitsch e in linea con il film, contiene molte canzoni che rimarranno anche oltre il film. Non è invecchiata benissimo a causa delle sue sonorità marcatamente anni '80 (la batteria è fastidiosamente elettronica) ma il cuore di molti brani come "L'Uomo Perfetto", "Il Tempio" (cantata nella "solita" lingua fonetica anglofona di Celentano e spacciata per antico aramaico nel film), "Mistero", "Lunedì", "L'Ora E' Giunta" è vincente. Tra i brani inclusi nella soundtrack del film anche quello cantato (e ballato) da Rita Rusic, "Sex Without Love", all'epoca glamourissima compagna di Vittorio Cecchi Gori. A livello critico il film venne stroncato senza pietà dalla critica e comunque non risultò particolarmente apprezzato nemmeno dal pubblico. Nonostante il faraonico dispiego di mezzi e la volontà superomistica del leader maximo Celentano, il film sconta una messa in scena che sa di televisione, anche e persino laddove i set sono di grandeur felliniana. Le coreografie che tanta importanza hanno nel film sono curate da Franco Miseria, ballerino e coreografo abituato ad una infinità di programmi televisivi. Il messaggio portato avanti da Celentano mira altissimo ma si scontra con atteggiamenti naive, qualunquistici e un po' grossolani. Il discorso che Joan Lui fa a reti unificate e che precede la sua morta, la sua resurrezione e il giudizio finale è un vago, farneticante, balordo e confuso sfogo che lascia un po' il tempo che trova, e avrebbe invece dovuto costituire un momento fondamentale della storia. Segna decisamente molto più il punto l'esibizione di una bellissima Claudia Mori sotto una cascatella edenica mentre, avvolta in una leggera veste bianca, offre a favore di pubblico le proprie forme esaltate dal vedo-non-vedo della veste bagnata. Tuttavia il suo personaggio di rigidissima giornalista di una simil Pravda è di una debolezza e bidimensionalità estreme. E lo stesso vale per un po' tutti gli altri personaggi del film, funzionali solo all'esaltazione di Celentano/Joan Lui (il plagio immotivato e gratuito di Mami di Via Col Vento, per altro già tentato ne Il Bisbetico Domato, è imbarazzante). Forse solo il diavolo è minimamente più curato. Il ruolo era stato offerto a Dario Argento, il quale pudicamente non accettò. Il montaggio è a tratti terribile e contribuisce ulteriormente ad aggravare le condizioni semi-teminali del paziente (proprio per quello esiste la figura del montatore professionista nel cinema).