International Hotel

International Hotel
International Hotel

Nello stesso anno del mastodontico e stremante Cleopatra, Elizabeth Taylor partecipa ad un'altra pellicola, agli antipodi rispetto al biopic sulla faraona. Tanto quello di Mankiewicz era enorme, colossale, "larger than life", tanto questo International Hotel è minimal, ristretto, contenuto (non tanto nel budget quanto nella sostanza). Il titolo originale è The V.I.P.s, dunque il materiale umano è in realtà assai glamour e scintillante, la vicenda narra infatti di un gruppetto scelto di personalità (del cinema, dell'imprenditoria e della nobiltà) i cui destini si incrociano per circa 24 ore, dapprima in aeroporto (Londra Heathrow) poi in hotel, l'International, dove vengono parcheggiati in attesa che le condizioni meteorologiche consentano ai rispettivi voli di decollare, dopo un notevole ritardo che causerà molte ripercussioni sulle vite dei protagonisti. Il modello è Grand Hotel, film del 1932, che diventa vero e proprio canone per pellicole che sopravvivono tutt'oggi, nelle quali un plotoncino di personaggi si intersecano nel loro andirivieni esistenziale. Talvolta l'accento è più drammatico, tal altra più da commedia, in genere c'è un certo brilluccicare di lusso e belvedere, ed i vari caratteri sono costruiti in opposizione, per coprire quante più casistiche umane possibili. International Hotel non fa eccezione. Elizabeth Taylor è la grande attrice (praticamente se stessa, anche per numero di pellicce e gioielli), suo marito Richard Burton (nel film, nella vita reale lo diverrà l'anno successivo, nel 1964) è un ricco industriale, Orson Welles è un cineasta dell'est Europa con problemi di tasse, Elsa Martinelli è la sua giovane (e stupidina) fiancée, Louis Jourdan è un playboy con il quale la Taylor ha una tresca, Margaret Rutherford è una nobile pittoresca, un po' spiantata e con qualche problema di memoria, Rod Taylor è un rampante imprenditore nel settore dei trattori con grossi problemi di liquidità e Maggie Smith è la sua devota segretaria, troppo timida e pudica per confessare il proprio innamoramento. Il ritardo delle partenze esploderà nelle vite di tutto loro, mettendo in crisi unioni sentimentali (la Taylor sarà costantemente indecisa tra il marito e l'amante, oscillando continuamente tra i due) e conti correnti bancari (Rod Taylor rischierà la bancarotta ma verrà salvato da Burton, Welles rischierà di essere incriminato per evasione fiscale mentre tenta letteralmente di fuggire dall'Inghilterra, la duchessa Rutherford rischierà di perdere ogni proprietà familiare). Elizabeth Taylor gira questo film più per necessità che per intenzione. Non economica naturalmente, ma pragmatica. La prima e più importante è quella di impedire che il suo ruolo finisca a Sophia Loren, come previsto inizialmente. Essendo consapevole della grande ammirazione nutrita da Burton per la Loren, la Taylor pensò bene di correre ai ripari, stroncando qualsiasi potenziale flirt sul nascere, ed appiccicandosi alle calcagna del marito. E' rimasto celebre il suo "let Sophia stay in Rome".

Tanto più che la sua Frances è praticamente un alter ego della Taylor, bellissima, di un'eleganza naturale ed aristocratica, ingioiellata fino alla punta dei capelli (e che acconciature!), desiderata da ogni reporter e fotografo del pianeta, sposata con Richard Burton e ambita dal gigolò Jourdan, che lei ricambia, più per ingelosire il distratto maritino che per reale convinzione, tant'è che basta una decisa presa di posizione (un po' melodrammatica, per la verità) del coniuge per farla ritornare sui propri passi. Frances è anch'essa un personaggio un po' debole, sia emotivamente, ma inteso anche in senso di scrittura; una donnina svenevole, con la lacrima facile e un'indecisione congenita, "mobile qual piuma al vento". Le si perdona tutto perché è di una bellezza che inibisce il pensiero, del resto stiamo parlando di Elizabeth Taylor nell'anno di Cleopatra, probabilmente la creatura più meravigliosa che abitasse la terra nel 1963, come opporvisi? Il film però, sebbene gradevolissimo, risente di questa scrittura un po' superficiale e di maniera. I personaggi sono abbozzati in forma di stereotipo. Rod Taylor è rustico e rozzo (da l'australiano che tenta di darsi un tono britannico, cosa che in effetti l'attore era per davvero), la Smith pare Cenerentola, Elsa Martinelli farebbe concorrenza a Flavia Vento, Orson Welles è una macchietta (chiaramente una partecipazione alimentare questa per lui), Jourdan è un Dean Martin che non ce l'ha fatta, ed anche la Rutherford assomiglia più ad una delle papere degli Aristogatti che ad un personaggio credibile e tridimensionale, nonostante la Academy decise di assegnarle l'Oscar come miglior attrice non protagonista quell'anno. Perlopiù tutto è bene quel che finisce bene, ed in qualche maniera i vari destini si sistemano, ad eccezione forse del solo Jourdan che si vede sfilare dalle grinfie la Taylor e rimane scornato. Il film merita comunque di essere visto, trattandosi ugualmente di un'operetta piacevole e frizzante, anche se Elizabeth piagnucola e si dispera un po' troppo, ai limiti della soap opera. Rimane il fatto che è di una bellezza abbacinante ed ogni suo minuto in scena vale il prezzo del biglietto, senza esitazione. Per altro il suo flirt sarebbe stato ispirato da Vivien Leigh la quale, mentre era sentimentalmente legata a Laurence Olivier, si trovò a dover prendere un aereo per raggiungere l'amante Peter Finch, rimanendo bloccata a terra.

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