Ilsa La Belva Del Deserto (1976) è sempre a firma di Don Edmonds e sempre, naturalmente, con la procace Dyanne Thorne. Segue di un anno La Belva Delle SS, al termine del quale Ilsa veniva giustiziata. Mi chiedevo infatti come era potuta proseguire la saga (che conta un terzo capitolo ed un ulteriore apocrifo), e la soluzione adottata in sceneggiatura è stata all'incirca un "chissene". Ilsa era morta? Facciamo che invece era viva e dopo la guerra serve uno sceicco petrolifero in Arabia; come i bambini, "facciamo che". Del resto quale essere senziente e dotato di amor proprio si porrebbe mai ulteriori domande non appena sullo schermo compare la Thorne in tutto il suo opulento splendore? Si è felici di rivederla all'opera, questo basta, anche perché il capitolo arabo è pure superiore al primo film della serie. C'è un evidente salto di qualità in ogni aspetto, budget in primis, ma anche trama e personaggi (...sempre tenendo presente che stiamo parlando di cinema di genere e segnatamente di exploitation).
Tecnicamente non si potrebbe parlare di nazierotico dunque ma, a conti fatti, cambia poco. In parte La Belva Del Deserto ripete lo schema del primo Ilsa, l'implacabile virago serve un avido e corrotto sceicco, anziché la Wermacht; a lei attiene la sicurezza della real persona e pure la gestione del prezioso harem. Lo sceicco infatti ne assoggetta sessualmente in gran quantità ed ha gusti sopraffini, tant'è che si fa arrivare le donne da tutto il mondo, impacchettate via posta aerea. Le donne sono schiavizzate col terrore e a chi si ribella: torture a tutto spiano. Ilsa si occupa personalmente dell'educazione sessuale delle schiave e seleziona solo il meglio per il suo padrone. C'è però un piano segreto dei soliti americani per impossessarsi del petrolio dello sceicco e magari, perché no, rovesciare il suo regno. Il tutto avviene grazie a soli due uomini, un panzone imbranato con l'aspetto di Kissinger e un figone comandante dell'esercito, che ovviamente si intratterrà generosamente con la Thorne e detronizzerà lo sceicco. Meglio di Franco e Ciccio, due rrringos contro l'Arabia.
La pellicola è il trionfo del kitsch, scene di erotismo, anche abbastanza ardite, miste ad una trama spionistica con risvolti sadici e, come detto, di assoluta exploitation (black and sex). Ilsa, una specie di Marilyn dai seni d'acciaio, ha due attendenti, Velvet e Satin (perché il tocco glamour ci vuole sempre), due nere assatanate di sangue e violenza, ma che al momento giusto ti si oliano tutte e ti ballano l'amplesso lesbo. Parrebbe di essere dalle parti delle Emanuelle di Joe D'Amato ma si va molto oltre; le torture sono sempre efferate e crudeli, sul modello del primo Ilsa. C'è pure la classica scena da laboratorio, con le donne cavie martoriate fisicamente (chi viene mutilata, chi insufflata di silicone per aumentare le forme); c'è anche chi viene ingollata a forza di cibo per mettere su ciccia, e a chi viene depositata una mini bomba nella vagina, in modo che durante l'amplesso il nemico esploda.
Impagabile la rivolta (pezzentissima) contro lo sceicco, combattuta dalle donne dell'harem guidate da Ilsa e dalle sue mastine nere, tutte rigorosamente a seno scoperto a smitragliare contro le guardie dello sceicco. La Thorne si spoglia moderatamente, anche se basta quell'incredibile mise di pelle, ragnatele e stivaloni nazi che sfodera per accogliere gli americani a palazzo a far tremare i polsi. Comunque l'aguzzina color platino i suoi bei momenti li ha, un paio di amplessi col comandante Scott, e lo stupro che, incatenata, è costretta a subire da un lebbroso, punizione dello sceicco per la ribellione pro americans. Le sue tette letteralmente esplodono in mano al tipo, una roba maestosa. Ma Ilsa ne sa una più del diavolo e anche se pare che il membro yankee l'abbia totalmente soggiogata, scopriamo alla fine che il sex toy era un mezzo come un altro per deporre lo sceicco e servire un nuovo padrone, il nipote. Tuttavia il ragazzino ha capito con che serpe ha a che fare e la imprigiona in una gabbia sotterranea, come una bestia. Nell'ultima mezzora perlomeno 20 minuti sono in lingua originale, con sottotitoli. Ma diciamo che la complessità dei dialoghi non rende questo inconveniente troppo proibitivo. Da segnalare anche la preziosa presenza "artistica" di Uschi Digard e Haji.