Nel 2002 andai a vedere questo film in una sala cinematografica fiorentina. L'esperienza avrebbe dovuto preconizzare la fortuna che poi (non) arrise alla fatica (anche produttiva) di Barbareschi, la seconda come regista dopo Ardena del 1997. Il cinema era completamente vuoto (per altro un multisala che aveva dedicato a Il Trasformista l'ambiente più piccolo dei cinque disponibili, evidentemente sapendo perfettamente dove si sarebbe andati a parare). Inoltre circa a tre/quarti di proiezione il film si interruppe e le luci si accesero. La pausa durò un bel po', circa una mezzoretta, poi per fortuna tornò il buio e gli spettatori - cioè io - poterono finire di vedere l'opera. La sensazione immediatamente successiva ai titoli di coda fu quella di una storia irrisolta, deficitaria, mancante di qualcosa, non a fuoco, anche se ad onor del vero va detto he il prolungato break coatto non aiutò a dare compimento ed omogeneità alla visione. Ci sono voluti anni perché potessi rivedere Il Trasformista, riuscendo a mettere le mani su di un dvd di seconda mano (per fortuna almeno integro stavolta). Ricordavo poco e in modo confuso di quanto visto 20 anni fa, ma devo dire che il film è perfettamente in linea con il Barbareschi anche degli ultimi due decenni. L'impegno politico e l'area culturale di riferimento dell'attore/autore lombardo (ma nato in Uruguay) sono noti e tuttavia il suo istrionismo non ha mai reso facile e banale una sua catalogazione in tal senso.
Il Trasformista in qualche misura anticipa le istanze grilline che poi si consumeranno negli anni successivi, ed è ampiamente intriso del ghe pensi mi di berlusconiana memoria. Augusto Viganò (Barbareschi) è un produttore di birra, un piemontese tutto d'un pezzo che, provato assieme ai suoi conterranei da anni di incuria del territorio e inquinamento ambientale, prende di petto un ministro e gliene canta quattro. Questa sferzante determinazione (ad un passo dalla disperazione) buca lo schermo mediatico e viene notata anche dai politici, i quali cercano di mettere il cappello sulle istanze protestatarie di Viganò, allo stesso tempo "normalizzandolo" e portandolo in Parlamento per sfruttarne la popolarità ed addomesticarne i sussulti critici. Viganò si cimenta nell'impresa armato delle migliori intenzioni ma viene completamente travolto dal melmoso ambiente romano, dove consorteria, consociativismo, ipocrisia e malaffare regnano sovrani e trasversali. Viganò stesso si lascerà cambiare dal sistema, diventando il tonno anziché la leva che avrebbe dovuto scoperchiare la famosa scatoletta. L'approccio dei Barbareschi al film è frontale e manicheo, totalmente privo di zone d'ombra. Viganò è un puro ed un giusto, anche se burbero, ma il Male che lo contamina è talmente forte, potente e tentacolare che finisce col contaminare anche quel candore etico. Viganò non ama né i soldi, né il potere, il grimaldello con il quale viene messo in ginocchio è l'amore (per una regina dei salotti romani, la fascinosa, ambigua e ammaliante Catherine Wilkening, nonostante la moglie nel film sia interpretata da un'altrettanto amabile Gea Lionello), unitamente ad uno stato confusionale pressoché ininterrotto che rende impossibile a Viganò mantenere lucidità e raziocinio.
In questo vortice di corruzione morale (prima ancora che fattuale), Barbareschi infila tanti bozzetti ai limiti del qualunquismo; dal portaborse cinico e arrivista (Papaleo), alla lolita sciocchina e sgallettata tutta infatuata dalla tv e dal mondo dello spettacolo (Bianca Guaccero.... che deve aver provato qualche imbarazzo in un ruolo del genere), passando per Raffaele Pisu nei panni di un senatore della Repubblica, padre della patria alquanto rincoglionito (Cossutta?) ed una serie di ritrattini politici deprimenti e monodimensionali. Certo, Barbareschi non si ritaglia un finale autoassolutorio, anzi tutt'altro; e tuttavia l'impressione che Il Trasformista restituisce è che sia il Diavolo ad essersi comprato l'anima di Viganò e non lui ad avergliela venduta consapevolmente. I politici stanno da una parte, la "gente" dall'altra; idem giusto e sbagliato, morale ed immorale, non ci sono trasversalità o zone grigie bensì un convinto sguardo populista, sbrigativo e sommario sui rituali della Politica italiana (come se i residenti del Parlamento non fossero tali a seguito del voto degli italiani). Sia in sala che nei rari passaggi televisivi il film è stato un fiasco colossale. Al netto dei suoi difetti, dei suoi narcisismi e delle sue impuntature giacobine, Il Trasformista non è affatto mal diretto, ha un buon ritmo e si lascia guardare con una certa curiosità, potrei persino definirlo un mio guilty pleasure, visto che Barbareschi per quanto mi riguarda è un ottimo attore e personalmente l'ho sempre apprezzato, cercando di distinguere - talvolta a fatica - tra persona e professionista.