
Nel 1951 Riccardo Ghione fonda la rivista di racconti cinematografici Il Documento Mensile insieme a Marco Ferreri, fallirà dopo appena tre numeri. Nel 1953 produce con Ferreri L'Amore In Città, film in sei episodi che avrebbe dovuto battezzare il rinnovamento del movimento Neorealista, ma lo affossa definitivamente, diventandone il documento testamentario anziché un nuovo battesimo. Chissà se Ferreri si è mai posto la domanda che per lavorare con Ghione occorresse un buon esorcista... il volitivo piemontese tuttavia non si dà per vinto e dal '56 prende a scrivere sceneggiature. Nel '68 dirige il suo primo film da regista, Il Limbo, mai distribuito. In totale saranno quattro, ultimo dei quali è lo sgangheratissimo Il Prato Macchiato Di Rosso, un thriller morboso che ha spunti horror ma soprattutto è davvero improbabile e scarcassato. L'inizio vede Claudio Biava aggirarsi per il piacentino apparentemente senza meta né scopo, in realtà raccatta pezzi di umanità senza passato e senza futuro, una coppia di vagabondi (George Willing e Daniela Caroli), una prostituta (Dominique Boschero), una zingarella (Barbara Marzano), un ubriacone (Lucio Dalla) e li porta tutti a casa di sua sorella (Marina Malfatti), che vive col marito (Enzo Tarascio), una specie di Claudio Lippi mancato, col vezzo di annodarsi improbabili cravatte pacchiane e variopinte a mo' di fiocco da clown. Per un lungo tratto di film non si capisce quale sia l'orizzonte di questa comune, la Malfatti è sempre fosca e imbronciata, Tarascio vaneggia discorsi da scienziato pazzo (al cospetto di congegni meccanici che sembrano usciti dall'uovo di Pasqua), Biava pare la comparsa di un film sui nazisti e gli ospiti della casa bighelloneggiano senza farsi domande. Poi cominciano ad essere abbattuti uno dopo l'altro e perlomeno lo spettatore capisce dove si va a parare, anche grazie alle "indagini" di un agente dell'Unesco (i famosi agenti dell'Unesco....) interpretato da uno spaesato Nino Castelnuovo.
Il primo problema di Il Prato Macchiato Di Rosso è che è di una noia mortale, per quanto di durata contenuta riesce comunque a rendere interminabili ed indigeribili ampie porzioni di minutaggio. Storia e recitazione sono molto puerili, io immagino l'imbarazzo della Malfatti, della Bosquero, di Willing e della Caroli in determinate scene, quella relative al sangue... ad un certo punto non si capisce più se siamo dentro un giallo/thriller, un horror o un sottoprodotto di serie z di fantascienza, con creature e robottoni che manco a Bim Bum Bam avrebbero retto il giudizio dei bambini. Perché Tarascio si concia in quel modo e sembra uno stordito alla Forrest Gump? Perché la Malfatti inorridita da tutto e tutti si aggira per casa con vestagline da erotico soft? Perché i due hippie vagabondi sono così stereotipati ed accentuati nel loro essere hippie vagabondi, al punto tale che pur vedendo cose assurde e decisamente inquietanti si preoccupano solo di fumare, bere vino e stare nudi? Perché mai l'Unesco avrebbe degli agenti e li manderebbe in giro per il mondo ad indagare su presunti crimini? Perché Lucio Dalla ha accettato di partecipare ad un film così privo di logica e maniera, e perché con un personaggio così involuto e irrisolto? - SPOILER: Perché nessuno ha detto a Ghione che le scene delle morti della Bosquero e della Malfatti erano oltremodo ridicole?
Il titolo fa riferimento ad un prato di papaveri che inizialmente vedono i due vagabondi e che ricorda loro un prato macchiato di sangue. In realtà non ha alcuna attinenza col film, l'unico filo conduttore è il sangue, per altro talmente rosso da essere palesemente vernice (e fa pure la schiuma come il Tavernello). Ci sono poi fiammate di surrealismo, come quando Tarascio convoca gli ospiti della casa ad una sorta di party al quale si accede oltrepassando una vagina (una scena che rimanda a Femina Ridens di Schivazappa del '69) e che poi si risolve in una stanza con specchi deformanti come al luna park e due bocce di spumante drogato. Chi prima chi dopo, tutte le attrici del cast devono far vedere un po' di carnazza, la Bosquero e la Caroli hanno pure nudi integrali. La Malfatti sembra veramente sempre sul punto di voler abbandonare il set e andar via. Come il cast si sia potuto prestare ad una carnevalata cialtrona come questa rimane un mistero. D'accordo il "genere" ma qui, a mio umile gusto e parere, si tratta solo di un brutto film. Volendosi sforzare di trovare qualche appiglio si potrebbe dire che il "vampirismo" dei coniugi Malfatti/Tarascio potrebbe forse configurarsi come un timido atto di accusa alla società capitalistica e che le vittime sono dei poveri Cristi senza arte né parte, come vagabondi, ubriaconi e prostitute, umanità libera e proletaria.... ma proprio sforzandosi eh.