Il Papà Di Giovanna

Il Papà Di Giovanna
Il Papà Di Giovanna

Dentro Pupi Avati da sempre convivono due anime, quella del narratore drammatico contegnoso e nostalgico, e quella del curioso indagatore di esoterismi, tradizioni popolari e tensioni ai limiti dell'occulto e del blasfemo. Col passare degli anni, la prima livrea sembrava aver quasi del tutto soffocato la seconda, anche se di tanto in tanto la zona oscura di Avati è tornata a fare capolino, ad esempio nel 2007, con Il Nascondiglio. Immediatamente dopo si è nuovamente inabissata, scorrendo carsica fino ad oggi, quando Avati ha annunciato di voler girare un film nientemeno che sul diavolo. La pellicola successiva a Il Nascondiglio è stata Il Papà Di Giovanna, che si è guadagnata anche numerosi riconoscimenti (un plotone di nomination un po' ovunque e David di Donatello e Globo d'Oro alla Rohrwacher, Nastro d'Argento e altro Globo d'Oro a Ezio Greggio, Nastro d'Argento a Francesca Neri, Coppa Volpi a Silvio Orlando, oltre al Premio Pasinetti ed al Premio Gian Maria Volonté).

Come da premessa, quest'ultima rientra nel filone dei racconti tristi e malinconicamente rugiadosi di Avati, il quale ci porta a Bologna negli anni '30, in casa di un professore liceale di disegno, Michele Casali (Silvio Orlando). Condizioni di vita assai modeste, una moglie bella algida e sfiorita (Francesca Neri), una figlia emotivamente ritardata (Alba Rohrwacher), un vicino di casa nonché amico, commissario di Polizia (Ezio Greggio), un'esistenza tutta rivolta alla costante protezione della figlia. Al di là della sceneggiatura e della stretta cronologia di fatti ed eventi, è l'estrema mestizia, il dolore puro che trasmette questo film a lasciare provati al termine della visione. Non mi fraintendete, si tratta di un'opera valida e preziosa, tecnicamente ineccepibile, girata con una maestria assoluta, in poche parole un gran bel film; tuttavia le sensazioni che trasmette sono di una tale tristezza, amarezza, disperazione e scoramento, che non si dimenticano facilmente. Si vive questa strana dicotomia che da una parte ci costringe ad arrivare fino in fondo, a vedere ed assaporare tutto, dall'altra ci fa pentire - per lo stesso motivo - di esserci ostinati ad ingoiare tanta sofferenza, che poi rimane appiccicata addosso, annullando ogni velleità di serenità e/o speranza future.

Avati si fa narratore dolente e, come tutti i malinconici, si compiace alquanto di quel tipo di sfumatura. Il viaggio di Orlando è un inabissarsi continuo ed inarrestabile. Non c'è un raggio di luce nella sua vita; nessun agio economico; una moglie amata ma dalla quale non è riamato; una figlia ancora più amata ma con tale impeto morboso e "sbagliato" da provocarne più spesso il male che il bene; la negazione continua di ogni evidenza; il fascismo; la guerra; mortificazioni e umiliazioni invincibili, fino ad un finale che parzialmente vorrebbe riequilibrare la bilancia del destino (e proprio per questo suona persino stonato), ma che in alcun modo riesce a cancellare le angosce, le afflizioni, il grigiore, lo sconfittismo intrinseco che caratterizza dalla A alla Z il professor Casali. Eccellente in tal senso l'interpretazione di Orlando, e perfetta anche la Rohrwacher, alle prese con un personaggio complicatissimo da rendere ma che vive di una delicatezza di tocco, di una fragilità e di una ingenuità stupefacenti. Personalmente ho trovato meno convincente la Neri; occorreva una certa bellezza (e possibilmente non al suo massimo) per interpretare Delia, ed in questo la Neri è appropriata, ma la sostanza della sua performance, la sua espressività, non mi hanno convinto. Sempre troppo fredda, distaccata, come se tra l'attrice ed il personaggio ci fosse una frattura, una diga invalicabile. Greggio è la consueta scommessa di Avati, il quale ama prendere figure totalmente fuori contesto per piegarle ad una sua idea di ruolo e di personaggio. Greggio regge. Non brillantissima la sua fine, mi riferisco proprio all'aspetto visivo e cinematografico (la corsa sui binari del filobus - oltre a quello che accade un po' prima ed un po' dopo - pare una roba un po' a metà tra una comica ed una fiction televisiva) ma nel complesso il suo commissario di Polizia arricchisce il film. Piccola particina anche per Serena Grandi, moglie paralitica di Greggio, poche battute, tutto molto sobrio e ben recitato, anni luce lontana non solo dall'epoca brassiana (e dal relativo corredo di filmografia erotica anni '80) ma anche dalla pagliaccesca caricatura vista ne La Grande Bellezza.

Il Papà Di Giovanna è senza ombra di dubbio l'ennesima conferma della statura di Pupi Avati, "raccontatore" di storie piene di particolari, atmosfere, umori e sottigliezze. Il tutto sempre con pudore, garbo, compostezza, decoro. Bella anche la fotografia, volutamente resa "antica" nei colori e nelle luminosità. Dopo aver visto Il Papà Di Giovanna avrete un po' voglia di morire e basta, purtroppo è lo scotto da pagare per vedere questo bel film. Non è una penitenza da poco, ma così è, non si vive di solo cinema commerciale e di evasione.

Trailer ufficiale

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