Il Grande Racket è un film del Grande Castellari, uno dei registi italiani preferiti di Tarantino, e questo lo sanno pure i sassi, e ha pure un po' stufato, perché pare che se non lo diceva lui noi non ce lo sapevamo che il cinema bis itagliano era di gran qualità! Il Grande Racket nello specifico è da molti fini intenditori ritenuto il top di Castellari, o comunque uno dei momenti più felici della sua carriera. Io questo non lo so, però la visione mi ha divertito enormemente. lasciandomi soddisfatto ed in panciolle per una sana dose di buon cinema come si deve, fatto di buoni e cattivi, giustizieri, pallottole, inseguimenti, scazzottate, malavita, polizia e abbondanti dosi di politicamente scorretto. C'è Fabio Testi, maresciallo impotente davanti alla crimnalità romana, violentissima e protetta dalla burocrazia e dal lassismo delle gerarchie; la cittadinanza è vessata, i commercianti umiliati e mortificati quotidianamente, non solo per il pizzo, ma anche a causa di omicidi, stupri, abusi e violenze di ogni genere. Testi pare sempre sul punto di acciuffarli, ma poi la cosa si risolve a favore della banda di gangster, grazie anche ad avvocati e ad "aderenze". E allora? Allora il cittadino si ribella; Testi, oramai fuori dalla Polizia, si mette a capo di un manipolo di uomini senza più nulla da perdere, dei vendicatori che hanno subito le angherie della Mala, una specie di esercito da ultimo mondo cannibale, infiltra un proprio uomo nella banda, riesce a tendere una trappola, e scatena il massacro, fuori da ogni legalità e regola costituzionale (seeeeeee....pfui!).
Momenti crudi e battute al fulmicotone si sprecano, immerse in una quantità di azione letale per ogni cuore debole. Castellari gira le scene da gran maestro della celluloide, senza aver nulla da invidiare ai grandi nomi d'Oltreoceano (oddio, i budget magari, quelli si....), su questo Tarantino ha ragione da vendere. Ma noi, da questa parte dell'Oceano, eravamo troppo mimpegnati a dare addosso al cinema "fascio", giustizialista, violento, "di destra", per renderci conto del talento visivo, del ritmo, della mano felice che i nostri registi del poliziesco (aka polizziottesco) sapevano infondere nelle storie che raccontavano. L'inizio è una bomba, musica fiammante dei fratelli De Angelis, in chiave hard-psych.prog rock, a sottolineare azione e violenza del racket, che mette a ferro e fuoco un esercizio commerciale. "Devi cominciare con una scena forte che ti inchioda alla sedia [...] poi, quando ti ho emozionato, comincio a raccontarti la storia." - diceva Castellari. Gran cast di caratteristi attorno a Test:i: il budpsenceriano/terencehilliano Sal Borghese, Vincent Gardenia, irresistibile ladro italoamericano gentiluomo d'altri tempi (doppiato da Ferruccio Amendola e forse anche per questo mi faceva continuamente venire in mente Robert De Niro), Renzo Palmer in un ruolo difficilissimo, padre di una bimba (la vera figlia di Castellari) che viene stuprata dal racket e che per questo si suicida, portando alla follia, una lucida follia, il genitore, Glauco Mauri intirizzito in un'armatura che lo tiene eretto (avendo subito la rottura della spina dorsale da parte dei fuorilegge), Romano Puppo, qui chiamato "il solista del mitra" (corto circuito con la realtà per via dell'effetto deja vu con Luciano Lutring), Orso Maria Guerrini, in grandissima forma, un tiratore di piattello che non ne sbaglia una, ma manco mezza, e che ha subito un assalto in casa di ultraviolenza all'Arancia Meccanica, con stupro della moglie e morte tra le fiamme dell'abitazione incendiata. Dicono su "Cinici Infami e Violenti" (ed. Bloodbuster) che la regia di Castellari e "massiccia e incazzata", ed è assolutamente vero, come massiccio e incazzato è Fabio Testi, ed altrettanto è questo stupendo film. Chicca degli effetti speciali, la scena di Testi che rotola giù da una scarpata con l'auto. La visuale dello spettatore è dall'interno, con Testi che si scatafascia per il burrone per davvero...o quasi; Castellari utilizzò una carcassa di auto montata su due enormi ruote che la troupe faceva girare, e piazzò alcune cineprese a lato e di fianco del povero Testi, seduto dentro. Il maresciallo comunque è tostissimo, e sul finale, con cartuccera in spalla e fucile incandescente tra le mani, ricorda l'Enrico Maria Salerno immortalato ne L'Ultimo Treno Della Notte di Aldo Lado, dell'anno prima. Il Grande Racket colpisce per l'inusitata violenza, equamente suddivisa tra le forze del "bene" e quelle del "male", oltre che per l'altissimo tasso di spettacolarità delle riprese, in ogni frangente, che si tratti di auto, cazzotti o fucili a pompa. Un autentico must del poliziesco all'italiana, del cinema bis italiano e del cinema d'azione in generale.
Due estratti da sentenze dell'epoca che meritano davvero di essere riportate pere la evidente oggettività, lungimiranza e per l'occhio critico chiaramente libero da ideologie e condizionamenti: Morando Morandini su Il Giorno: "E' un film fascista. E' un film abietto. E' un film idiota. E' fascista perché, abbinando lo stereotipo del giustiziere solitario con quello del poliziotto reso impotente nell'esercizio del suo dovere dalle norme dello Stato di diritto [...], sostiene l'ideologia reazionaria secondo la quale la criminalità non si combatte applicando le leggi, ma contrapponendo violenza a violenza secondo la regola del taglione: dente per dente, uccisione per uccisione." Da Il Messaggero: "Il regista si è lasciato prendere un po’ troppo la mano dalla componente in cui la violenza emerge in assoluto, trascurando di imprimere la dovuta sostanza al disegno psicologico dei personaggi e di conferire credibilità a taluni aspetti della nostra società, corollario all’avventurosa vicenda."