Nel 1971 Dario Argento aggiungeva una nuova specie al suo personale zoo criminale, il gatto a nove code dopo l'uccello dalle piume di cristallo (animale in realtà del tutto inventato). Il gatto stavolta faceva riferimento al frustino costituito dal manico e da nove code appunto, per metafora una rappresentazione del caso sul quale investigano nel film l'enigmista cieco Karl Malden ed il giornalista James Franciscus, un caso con 9 tracce possibili da seguire, afferrata una delle quali sarebbe stata possibile risalire al manico, ovvero alla risoluzione. Lo dice l'enigmista durante un colloquio con Franciscus. Il film arriva a stretto giro di posta del precedente, una particolare solerzia dovuta all'idea avuta da Argento proprio durante le fasi produttive finali de L'Uccello Dalle Piume Di Cristallo, ma anche ai soldi pronti e scodellati dalla produzione (anche internazionale). L'esordio di Argento era andato bene all'estero, segnatamente in America e dunque i capitali arrivarono più celermente da fuori che dall'Italia, dove rimenava una certa diffidenza nei confronti di un regista così estroso e innovatore. Secondo una consueta miopia produttiva, se prima non si credeva in Argento, dopo si pretendeva che ogni film fosse una ripetizione copia/incolla del precedente che aveva avuto successo; ovvero esattamente ciò che Argento non voleva, desiderando rinnovarsi e proseguire passo dopo passo. Ingerenze e compromessi si manifestano soprattutto nella scelta del cast, Argento deve accettare Farnciscus come protagonista, (americano, forte del successo de L'Altra Faccia Del Pianeta Delle Scimmie), poi c'è Karl Malden, attore di grandissima esperienza e carisma, ma pur sempre un nome al quale il regista guarda con una certa diffidenza visto il cattivo rapporto avuto con Musante sul set del primo film. Col senno di poi, la lavorazione procede bene, Argento non ne ha brutti ricordi, non è più il "novellino" al quale il cast tecnico guarda con diffidenza, ma un autore che si sta affermando ed imponendo (a dispetto di tutti, va detto).
Il botteghino risponde benissimo, il film incassa il doppio de L'Uccello Dalle Piume Di Cristallo, già si pensa al terzo capitolo.Argento dice di essersi ispirato ai noir francesi ed a Chandler ma, a suo giudizio, il film invece esce fuori come troppo intriso di umori polizieschi americani; non volendo, forse a causa del cast, il suo Gatto sa di americano, nella struttura d'indagine, negli inseguimenti (a piedi, sui tetti ed in auto), nelle scazzottate e nei dialoghi, e questo ha fatto si che nel tempo il regista abbia finito col considerare questo titolo quello che ama di meno, anche se lo reputa di livello, tecnicamente parlando e vi riconosce pagine indubbiamente proprie (l'assassino al telefono, le soggettive, i guanti, la spettacolare scena dell'ascensore). Da spettatore mi sento di dire che è vero che il film non si pone come una progressione in avanti rispetto all'esordio del '70, ma sostanzialmente consolida e affina il mestiere di Argento, confermando di essere al cospetto di un cavallo di razza e non ad un carneade che ha azzeccato magari per puro caso un buon film. La componente poliziesca e di indagine è preponderante, la spina dorsale del film, descritta e condotta con un tono severo, formale, molto sobrio ed asciutto. Argento si lascia andare con gli omicidi, piccole schegge di violenza, sia concettuale che visiva inserite in una sceneggiatura altrimenti imbrigliata e gestita con il limitatore di velocità. Sembreranno forse piccole cose (soprattutto pensando a come Argento ammazzerà i suoi attori dal 1975 in poi), ma gli omicidi del Gatto non sono affatto robetta lieve quello della Rassimov per esempio è particolarmente disturbante, né si può dire che il finale lesini in impeto fantasmagorico. A dispetto della parziale insoddisfazione di Argento, la recitazione è molto buona (pensiamo a come si vedrà recitare nei suoi film a partire dalla fine degli anni '90....).
Dopo Roma Argento si appropria di Torino, esaltandola ed offrendola al pubblico come una location magnifica, una cornice affatto in background per la storia, quasi un ulteriore personaggio che contribuisce non poco alle atmosfere del film. Si rinnova l'estrema attenzione per luoghi, scorci di ripresa, uso delle luci e delle ombre (anche se non c'è più Storaro ma Enzo Menczer come direttore della fotografia). Le musiche sono di Morricone, e che musiche!. Catherine Spaak è la prim'attrice, vestita da Carlo Leva con abiti molto lussuosi ed appariscenti e pettinata con una cofana alla Mina che forse oggi appare estremamente vintage ed esotica, indubbiamente legata a quel periodo storico. Curiosamente Argento non sfrutta al minimo la sensualità della Spaak, la quale si limita a far sfoggio di una gran scollatura con uno dei suoi abiti di scena e si concede ad una rapidissima scena di nudo con seno al vento; tuttavia in questa scena, il momento d'amore tra lei e Franciscus, c'è un pudore degno di un censore della Democrazia Cristiana, ben altro approccio rispetto all'erotismo che ad esempio esploderà in Tenebre. Come telefonista (del radio taxi) appare in una breve comparsata Ada Pometti, la giovane nipotina di Malden è Cinzia De Carolis (che diverrà attrice e soprattutto doppiatrice, ma anche cantante).
Affascinante il tema dell'occhio in questo film. Lo sguardo dello spettatore è tutto. Che si immedesimi in quello mastodontico, meccanico e sinistro dell'assassino (la cui pupilla è estesa a tutto schermo come una specie di Grande Fratello che tutto vede ed osserva in preparazione del prossimo delitto) o che si accoppi con lo sguardo cieco dell'enigmista, tutto votato al proprio sesto senso, l'occhio vuole indubbiamente la sua parte ne Il Gatto A Nove Code. Ci sono tanti momenti nel corso dei 107 minuti di pellicola nei quali l'enigmista getta il suo sguardo nel vuoto o nel buio, dove egli non può vedere, e tuttavia raccoglie ed elabora informazioni. Un paradosso assai stimolante. La risoluzione dell'enigma non è in verità impossibile, il cerchio tutto sommato è molto ristretto e quando si comincia a discettare di ereditarietà genetica cromosomica diventa facile capire dove si andrà a parare, il movente lo si può prevedere con una certa semplicità, l'identità vera e propria dell'assassino è una scommessa ma anche quella l'ho annusata già alla prima visione.Cionondimeno il film è puro divertimento, la tensione non viene minimamente inficiata e l'estrema solidità del film in ogni suo aspetto mantiene inalterato il piacere della visione. Ci sono tanti piccoli momenti gustosi, che svelano più di quanto non sembri; ad esempio la reprimenda che la Spaak fa a Franciscus quando lui la accusa - neanche tanto velatamente - di essere l'assassina e lei gli sbatte davanti tutti i suoi pregiudizi moralistici che l'hanno portato sommariamente a sospettare di lei; oppure i consueti mini siparietti comici a cui Argento non rinuncia, come ad esempio la coppia di vecchietti che vuole attraversare la strada ma alla fine rinuncia perché le macchine sfrecciano come missili. Piuttosto sorprendente che Argento accetti di basare il film sulla teoria di stampo lombrosiano della colpa genetica (che eliminerebbe carceri e psicologi, poiché basterebbe uno screening natale e magari la giusta pillolina per debellare violenza e criminalità... lo stesso anno esce al cinema Arancia Meccanica, per dire), una scelta che va nella direzione opposta alla sensibilità di Argento, fatta di grande deferenza verso la psicanalisi freudiana e verso mondi interiori sempre tumultuosi e anarcoidi, pedantemente etichettati e condannati da una società perbenista, moralista ed ipocrita (che in primis si è sempre scagliata proprio contro i film di Argento).