Sarebbe interessante e persino divertente sviluppare un analogia tra il regista (ma anche sceneggiatore, montatore, scrittore e pittore) gallese Peter Greenaway e il nostro Tinto Brass. I due hanno terreno comune. Naturalmente ognuno con la sua cifra stilistica, la sua sensibilità ed il suo retroterra culturale ma entrambi amano i sapori forti e decisi, ricorrono generosamente all'erotismo nelle proprie pellicole, ad un certo manierismo iconografico, ribaltano il senso di realtà portandolo dove interessa loro e non dove logica, verosimiglianza e razionalità dovrebbero. Ma soprattutto entrambi fanno un cinema di forma, nel quale non è la semantica a dettare le regole ma come la sceneggiatura viene messa in scena. Forma e astrazione diventano contenuto nel loro caso, o perlomeno rivaleggiano con esso per quanto riguarda il primato davanti alla macchina da presa. Il film è il film, non la storia che racconta. Il Cuoco, il Ladro, Sua Moglie E L'Amante (un titolo bizzarro, didascalico e chilometrico - uguale anche in originale - degno di Lina Wertmüller) è per giunta ritenuta la sua prova più "sarcastica" e "feroce", al contempo "stomachevole" e "sublime", "raffinata" ma anche "volgare". Aggiungeteci la cura maniacale per luci, scenografie, costumi, giochi visivi e simbolismi, e non sarà difficile leggere in controluce quanto scritto da tanta critica a proposito di molte opere di Brass. Intendiamoci, non sto dicendo che i due si equivalgano o siano uguali, dico solo che in qualche misura sono legati da un destino comune e da alcune contiguità artistiche che potrebbero consentire un parallelismo tra le rispettive filmografie e concezioni dell'idea filmica.
Le raffigurazioni pittoriche de La Cena in Casa Levi (del Veronese) e Il Banchetto degli Ufficiali del Corpo degli Arcieri di San Giorgio (di Frans Hals), costituiscono il colpo d'occhio al quale Greenaway (grande appassionato di arte figurativa) si sarebbe per gli ambienti del suo film. Il quadro di Frans Hals è addirittura mostrato in modo esplicito poiché fa da enorme fondale del ristorante nel quale buona parte della vicenda ha luogo. Persone attorno ad un tavolo, con pranzi opulenti, grandi stoffe ed un caos generale dato dal convivio numeroso e chiassoso. Una tradizione pittorica che Greenaway traduce su pellicola, costruendo una storia che fonde principalmente cibo ed eros, e che attraverso questi due mezzi inscena e rappresenta il potere, la sopraffazione, la violenza, il desiderio, la libertà, la morte. Anche la tragedia dei primi del '600 Peccato Che Sia Una Sgualdrina di John Ford è citata dal regista come una primaria fonte di ispirazione. Albert Spica (Michael Gambon) è una sorta di boss criminale che mangia sistematicamente presso il suo ristorante. Vi si reca con tutta la sua corte di scagnozzi e con la moglie Georgina (Helen Mirren), qui fa visita alle cucine dello chef (e comproprietario) Richard Borst (Richard Bohringer), col quale è in perenne conflitto. Durante le cene Spica ha continue esplosioni di boria e cattiveria, racconta episodi efferati, umilia e mortifica clienti e sottoposti e sfoga la sua gelosia possessiva su Georgina, la quale tra una percossa e l'altra si invaghisce del silenzioso libraio Michael (Alan Howard), cliente del ristorante. I due iniziano una relazione clandestina nei bagni del locale, proseguendola poi nelle cucine ed in ogni anfratto che Borst mette loro a disposizione.
- SPOILER: I due però vengono scoperti da una prostituta con cui si accompagna uno degli sgherri di Spica; umiliata dal boss in uno dei suoi tanti eccessi d'ira, si vendica gettandogli in faccia il tradimento della moglie. Da quel momento Spica dà la caccia ai due amanti, che si sono nel frattempo rifugiati nella libreria di Michael. Spica riuscirà a scovare Michael e lo ucciderà con un terribile contrappasso, ingozzandolo di pagine di libri fino alla morte. Georgina, con l'aiuto di Borst, farà cucinare il corpo di Michael e lo darà in pasto a Spica, prima di ucciderlo con un colpo di pistola.
Al netto della bizzarria della trama, naturalmente è il "come" Greenaway disegna il tutto a lasciare stupefatti, tanto nel bene quanto nel male. Il film sia apre in maniera violentissima, con Spica che umilia l'ennesimo povero Cristo, denudandolo, ricoprendolo di cibo ed escrementi e poi urinandogli addosso. Il tutto è mostrato apertamente dal regista. Quindi Spica entra nel ristorante dove ha inizio una delle sue abituali tenzoni con lo chef (l'unico a tenergli orgogliosamente testa). Si passa poi alla sala da pranzo vera e propria, dove Spica, parla, parla e ancora parla, producendosi in infiniti monologhi tutti auto elogiativi. Ogni sua punizione, ogni sua percossa è teatrale, rutilante, parossistica. Allo stesso modo il cibo del ristorante è gargantuesco, carne a volontà, teste di maiale ovunque, vassoi enormi, quantità che basterebbero sfamare l'intera l'Africa, una esibizione tronfia di materia che trascende completamente la realtà. Evidentemente simbolica, come la violenza efferata di Spica e, allo stesso modo, le parentesi erotiche del film. La Mirren e Howard sono i protagonisti di eleganti e raffinati intermezzi sensuali, la cui "preziosità" visiva fa da contraltare alla greve rozzezza di tutto il resto. Molto stilizzata ed allegorica è anche la rappresentazione del covo dei due amanti, il magazzino librario di Howard, buio, notturno, silenzioso, impolverato e interamente arredato di libri, ovunque (un oggetto di cui Spica non ha mai fatto uso, come chiosa beffardamente Georgina). Greenaway gioca amabilmente con le luci, cromatismi netti ed intensi, bianchi (il silenzioso bagno del ristorante), rossi (il lussureggiante salone da pranzo), verde (la cucina, popolata di decine di inservienti assai folcloristici), e col cambio di scena cambiano anche i vestiti della Mirren che, ad esempio, nel passare dal bagno alla sala indossa dapprima un vestito bianco e poi il medesimo che diventa di colore rosso.
All'altezza di questo film la Mirren è una splendida 44enne dal fisico burroso e imperfetto che fiammeggia nelle autoreggenti che Greenaway le consegna come abito di scena e che proprio nella sua "normali" diventa pressoché irresistibile e carica di un fascino esplosivo. Lei e Howard girano liberamente nudi in scena, Greenaway non si perita di mostrarne le pudenda (anche quelle maschili solitamente più censurate sullo schermo); anzi, ad un certo punto li butta dentro un camion di carne avariata, creando un vertiginoso accoppiamento di carne viva e carne morta, carne marcia e carne sana, in ultima analisi eros e thanatos. Howard e la Mirren sembrano Adamo ed Eva cacciati dal Paradiso Terrestre, macchiati della colpa del peccato originale, e costretti a condividere uno spazio angusto con maiali putrefatti, mosche, vermi e odori nauseabondi, quasi una premonizione del loro imminente destino. Qual è la morale di Il Cuoco, il Ladro, Sua Moglie E L'Amante? Ce n'è una? Non lo so, quel che è certo è che Greenaway sembra prevalentemente interessato alla messa in scena fisica della decadenza, alla potenza furiosa della sua visione, espressa con ogni elemento portato alle estreme conseguenze (e con ampie dosi di soggiacente umorismo tipicamente britannico), cibo, sesso, carne, violenza e morte, la quale apre e chiude il film, transitandovi per tutto il tempo nel mezzo. Indubbiamente una pellicola per stomaci forti, menti aperte e spettatori disposti ad essere sballottati e stupiti. Le musiche sono di Michael Nyman i costumi di Jean-Paul Gaultier, il cibo che si vede nel film è stato preparato per davvero dalla chef Giorgio Locatelli (oggi star televisiva del programma Masterchef).