Il Colore Venuto Dallo Spazio

Il Colore Venuto Dallo Spazio
Il Colore Venuto Dallo Spazio

Quinto adattamento cinematografico dell'omonimo racconto di Lovecraft, pubblicato nel 1928 su Amazing Stories, afferente al ciclo di Cthulhu ma in realtà completamente svincolato, poiché autonomo e privo di riferimenti diretti alla semi divinità polipesca come ad altri figure del pantheon lovecraftiano. C'è però lo spazio come sede di forze ed energie arcane, tenebrose ed insondabili. Alla regia siede Richard Stanley, nome di culto (e di nicchia) che ha diretto diversi videoclip per Fields Of The Nephilim e Public Image Limited (ma anche un mediometraggio per i Marillon), Hardware (1990) e Demoniaca (1992). Lo si rivede all'opera dopo un bel pezzo (nel frattempo si era dedicato a corti e documentari) ed anche il suo nome aveva generato una certa attesa, congiuntamente al ritorno ad atmosfere lovecraftiane da parte del cinema. Un testo come quello Il Colore Venuto Dallo Spazio generava una notevole quantità di insidie poiché è proprio la declinazione visiva delle descrizioni letterarie di H.P. ad aver reso spesso e volentieri problematica una sua trasposizione al cinema. In particolare questo racconto vive quasi esclusivamente di visioni, tant'è che l'autore stesso lo aveva definito uno "studio di ambiente e di atmosfera". Il protagonista della storia, il colore venuto dallo spazio, appartiene addirittura ad una dimensione che non rientra nello spettro che l'occhio umano riesce a decriptare, tant'è che è impossibile definirlo questo colore (e Cage ad un certo punto lo dice nel film). Noi spettatori però lo vediamo bene, eccome, è un fuxia estremamente vivido e pervasivo, che si mescola continuamente con altre nuance (prevalentemente bluastre), espediente inevitabile per permettere al pubblico di godere del film. E' stato necessario dunque ricorrere a dei compromessi per far sì che Lovecraft potesse entrare in sala ed essere proiettato su di un grande schermo.

Premesse tutte le difficoltà tecniche e concettuali del caso, la pellicola si rivela tutto sommato riuscita. Attenzione, non è perfetta, ha elementi molto positivi ma presta il fianco anche a qualche critica, tuttavia, dovendo trarre un bilancio complessivo, nel mio caso il pollice è all'insù, visto che la visione trasmette un carico d'angoscia affatto trascurabile e questo è l'omaggio più fedele che si potesse fare allo scrittore del Rhode Island. A ciò si aggiunga la capacità acuta e sottile di aver colto il cuore del sentimento di paura instillato dalle storie lovecraftiane, l'inconcepibile, l'indicibile, l'incomprensibile che i suoi "mostri" rappresentano, tant'è che più che la forma o i talenti, ciò che spaventa di quelle creature e di quelle divinità è il loro essere totalmente avulse dalla nostra realtà, dunque antitetiche alla ragione, alla logica, inspiegabili e dunque vettori di follia e impazzimento. Non riuscire a comprendere significa scivolare nella follia, nel baratro. E' questo quello che accade alla famiglia Gardner, che vive beatamente in un cottage isolato nella boscaglia del New England, a 20 km dal centro abitato più vicino. Nella loro proprietà si abbatte un enigmatico meteorite piovuto dallo spazio che causerà dapprima un rinvigorimento della Natura circostante e poi l'esplosione del caos, alterando spazio e tempo e portando la materia alla distruzione, poiché obbediente a leggi che non investono in alcun modo l'oggetto arrivato dall'universo remoto. Seguiamo il progressivo tracollo dei Gardner e di ogni appendice a loro connessa. Fino al roboante e violentissimo finale.

Le atmosfere sono rese in modo egregio, c'è un gran lavoro sugli effetti speciali che convince al 90%. Un po' meno quando vediamo gli effetti dell'orrore cosmico ad esempio sugli animali (la scena del quasi incidente in auto mentre Cage e la Richardson tornano dall'ospedale è bruttina, né gli alpaca ammaliano particolarmente). I giochi di luce sono al limite del pacchiano ma riescono sempre a fermarsi un attimo prima di scadere nel ridicolo e causare la sospensione dell'incredulità. Il cast è molto buono, Madeleine Arthur è brava e dallo sguardo magnetico, ma è il suo personaggio a non essere un portento in sceneggiatura. La stregoneria pret-à-porter, il Necronomicon, qualche contraddizione nei dialoghi, lasciano un po' il tempo che trovano; allo stesso modo Nicolas Cage va preso per quel che è Nicolas Cage, ovvero un attore prevalentemente sopra le righe, afflitto da turbo recitazione, ma talmente grottesco e paradossale da compiere una capovolta di 360 gradi e diventare, per paradosso, credibile. L'idrologo (Elliot Knight) è inconsistente (anche se è addirittura lui ad essere la voce narrante), idem Ezra (Tommy Chong), il santone che campa ascoltando gli Hawkwind e parla come un libro scolpito (a botte di LSD). Non c'è molto preambolo quindi non approfondiamo mai veramente come erano i Gardner in condizioni "normali"; ci viene buttato da subito in faccia un cancro (che sta consumando una Joely Richardson per la verità discretamente in forma), qualche leggera caratterizzazione sin troppo bidimensionale dei figli (la strega, il nerd amante delle cane, il bimbetto occhialuto ma molto "percettivo") ed un bel cane formato famiglia a completare il ritratto un po' stereotipato. Terminati i 111 minuti comunque si avverte una certa soddisfazione, Il Colore Venuto Dallo Spazio non sarà un capolavoro ma ha un suo fascino perverso e morboso (acuito anche dalla sinergia delle immagini con le notevoli musiche di Colin Stetson, che in certi passaggi mi hanno fatto tornare in mente Blade Runner 2049), e tutto sommato dimostra fedeltà allo spirito di fondo lovecraftiano.

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