Il Cappotto Di Astrakan è un romanzo di Piero Chiara del '78 ambientato nell'immediato dopoguerra; Mario Vicario, trasferisce la storia ai giorni nostri (o meglio, suoi, nel 1980), affida il ruolo del protagonista a Johnny Dorelli e opera qualche micro cambiamento nella storia (il personaggio della Ferréol ad esempio diventa "moglie di" e non più "madre di"). Dorelli è Piero, uno scansafatiche di Luino che, a seguito di una vincita a biliardo, va in vacanza a Parigi. La vacanza che doveva essere tutta piaceri, donne e divertimento, parte malissimo; per una serie di equivoci Dorelli finisce in carcere, e una volta fuori, deve adattarsi alla bene e meglio. Finisce ospite di una signora (Ferrèol), e contemporaneamente fa il filo ad una bella francese (Bouquet) vista per strada per caso. In entrambi i casi Dorelli viene scambiato per un malvivente parigino (un tale Maurice), marito della prima e amante della seconda. Figura strana quella di Maurice, una specie di criminale intellettuale, che con la sua ombra perseguiterà Piero fino in Italia. Dorelli infatti non si rende conto se il suo rapporto soprattutto con la Bouquet è filtrato dalla assenza inquietante di Maurice o se vive di vita propria. Nel dubbio Piero prenderà una decisione drastica ed ultimativa.
Film di un'eleganza formale, ma anche contenutistica, ineccepibile, tant'è che a tratti si può pure pensare che tanta signorilità e posatezza non giovi alla commedia. Ma Il Cappotto Di Astrakan non è solo una commedia, o perlomeno, si adagia su malinconie molto spiccate e non risparmia brevi inserti drammatici. Vicario pare volersi muovere un po' borderline, ora la storia potrebbe propendere sulla farsa grottesca, ora sul pathos "alto", ora sulla commediaccia fisica, ma invece si rimane sempre lì, sul ciglio del burrone, senza mai cader giù. Se questo sia un limite o un punto di forza del film, sta alla sensibilità dello spettatore deciderlo. Certo Dorelli dà una grossa mano in tal senso, attore misuratissimo, ironico, versatile, raffinato, assolutamente talentuoso, e pure sottostimato dal nostro cinema. Se Dorelli tra gli anni '60 e '70 fosse vissuto a Broadway anziché tra Monza e Brianza probabilmente sarebbe diventato uno degli showman più famosi al mondo, ma questa è storia nota e vecchia. Pure la scelta delle attrici comprimarie, Andréa Ferrèol e Carole Bouquet, va nella stessa direzione; benché alla prima sia assegnato un ruolo leggermente più vivace e alla seconda invece una specie di ghiacciaia, le due attrici francesi non si possono definire esattamente espressione di un vitalismo ruspante. La Bouquet in particolare è veramente gelida, ai limiti della inespressività, algidamente seducente (sebbene, nelle due scene di nudo che ha, le si possano contare non solo le ossa, ma pure piastrine e globuli bianchi). Qualche caratterista di contorno, ma sempre e comunque periferico: Enzo Robutti (lo iettatore), Ninetto Davoli (il rapinatore), Paolo Bonacelli (uno degli amici di Dorelli), oltre a Marcel Bozzuffi (il commissario), che non definirei propriamente un caratterista, faccia dura, tipica di polizieschi. Insopportabile il gatto Domiziano, che ronchia e mugola in continuazione, io un gatto che miagola di continuo così non l'ho mai visto. Prende pur parecchie sportellate da Dorelli, sai oggi quanti animalisti inviperiti avrebbero aizzato i forconi! Bella la fotografia e buono anche il commento musicale.