Quella di Adrian Cronauer è una storia vera, anche se naturalmente meno hollywoodiana di come ce la raccontano Barry Levinson e Robin Williams. Lo stesso Cronauer (speaker radiofonico per l'esercito americano tra il '65 ed il '66) aveva approntato un soggetto per una sit-com ispirata alla sua permanenza in Vietnam, a Saigon, ma un po' come per il Benigni de La Vita E' Bella, per un po' gli fu risposto che non era argomento sul quale scherzare, una tragedia ed una ferita ancora aperta nella carni dell'America. Quando l'idea arrivò sul tavolo di Robin Williams le sue sorti presero una strada diversa, anche se poi la sceneggiatura che ne trasse Mitch Markowitz aveva oramai poco a che spartire con l'Adrian Cronauer originale. I punti in comune tra quello vero e quello interpretato da Williams sono l'aver fatto il DJ e l'insegnante di lingua nel tempo libero, per il resto la narrazione è tutta inventata. Cronauer non salta con la jeep su una mina vietnamita, non fugge nella foresta braccato dai vietcong, non conosce e si innamora di una bella ragazza locale, non fa amicizia con suo fratello che poi si rivela essere un vietcong doppiogiochista, né ebbe un rapporto così conflittuale con i superiori, al punto tale da aver deliberatamente cercato di farlo ammazzare. Good Morning, Vietnam è un po' il film della consacrazione di Williams, quello che dimostrò a chi ancora non ci credeva, o non ne aveva consapevolezza, che cavallo di razza fosse il caro vecchio Mork. Levinson costruì solo in parte una sceneggiatura irregimentata, ben sapendo che Williams avrebbe avuto bisogno di campo libero per fare suo il personaggio e dare il meglio di sé. Così fu.
Il programma radiofonico di Cronauer, che ha luogo due volte al giorno, al mattino ed alle 16 del pomeriggio, è sostanzialmente tutta farina del sacco di Robin Williams, il quale si muoveva su tracce di massima ma poi andava a braccio, capace di improvvisare per mezzore intere, facendo ridere a crepapelle Levinson (ma non la troupe, fatta perlopiù di inglesi e tailandesi che mal comprendevano l'umorismo squisitamente americano di Williams, pieno zeppo di riferimenti all'America). A ben vedere quelle sezioni occuperanno si e no un quarto d'ora di pellicola su sue ore belle piene, eppure rimangono impresse per l'energia vulcanica e inarrestabile di Williams, per la sua parlantina scioglilingua, per le sue mille parti in commedia, per la fantasia inesauribile ed il vitalismo travolgente. Attorno a quei momenti viene effettivamente tracciata la storia, in particolar modo il rapporto di Cronauer con l'esercito (declinato in personalità varie e sfumature differenti) e con il popolo vietnamita. Levinson ci teneva a fare un film differente dal solito, intendeva mostrare i vietnamiti come persone dedite ad una vita persino normale, nei limiti in cui una guerra può consentirlo, dunque mentre frequentano il mercato, pranzano nei locali, vanno al cinema, giocano a baseball e affollano le strade. E' in questo contesto che Cronauer si inserisce, spinto dal desiderio di stringere una relazione con una bella giovane del posto, ma per arrivare a lei dovrà rispettarne i rigidi codici sociali e familiari.
L' amicizia di Cronauer e Tuan (Tung Thanh Tran), fratello di Trinh (Chintara Sukapatana), non è forse approfondita in modo poi così credibile, c'è la differenza di età e c'è una frequentazione sommaria, oltre al fatto che il doppiaggio italiano del vietnamita rende quasi ridicolo il personaggio (parla come una parodia), tuttavia pari grado e superiori di Cronauer sono invece ben approfonditi, dall'amico Garlick (Forest Whitaker) al tenente Hauk (Bruno Kirby), un ometto modesto convinto di avere il dono della comicità, ed al sergente maggiore Dickerson (J.T. Walsh), contraltare "malvagio" di Cronauer. Traballa un po' anche il generale Taylor (Noble Willingham), quasi un antimilitarista che fa battute sulla contraddittorietà della "logica militare" (ritenendola un ossimoro)., forse uno stereotipo fin troppo tirato per i capelli. Nel complesso tuttavia il circo che ruota attorno a Cronauer, il domatore di leoni, arricchisce la trama e offre angolature interessanti dalle quali osservare gli eventi. Levinson evidenzia un grandissimo gusto nel mostrare un "altro VIetnam", non quello del fronte e delle trincee ma quello snervante dei quartier generali e quello dei momenti di stasi (e di noia) tra una guerriglie e l'altra, tra uno spostamento e l'altro, tra una bomba e l'altra. A corredo delle canzoni dei vari Beach Boys, James Brown, Wilson Pickett, Louis Armostrong, etc, scorrono immagini malinconiche e struggenti di un Vietnam "quotidiano" ed esotico al contempo (che tra in verità è la Tailandia). All'epoca dell'uscita il film venne generalmente ben accolto e procurò anche qualche premio e nomination, tuttavia non tutti ne parlarono in termini entusiastici, ad esempio il Washington Post scrisse che pur, lodando Williams, la pellicola altro non era se non un "concerto" dell'attore, con un po' di altri fotogrammi appiccicati intorno. Il che, di per sé, non è neppure così lontano dalla realtà, ma certo quello del Post tutto intendeva essere eccetto che un riconoscimento virtuoso. Inutile sottolineare quanta parte del film e dell'istrionismo di Williams vadano persi non guardando il film in lingua originale.