Edit 09/01/2019: dopo aver esplorato la quasi totalità della filmografia fratteriana (allo stato attuale mi manca solo Cymbaline e rimedierò presto) ho sentito il bisogno di ritornare su questo film, che all'epoca (2017) è stato il mio battesimo per quanto riguarda Fratter. Capita che a distanza di tempo si ripensi ad una visione e si riconsideri certi parametri, accorgendosi che progressivamente il lascito, l'eredità di quel film, è mutato, talvolta in meglio, talaltra in peggio. Rileggendo quanto scritto su Femminilità (In)corporea, pur avendo fatto la debita premessa che si trattava del mio ingresso (ignorante) nell'universo creativo del regista lombardo, ho sentito la necessità di rielaborare un pensiero più articolato e consapevole, perché una re-visione del film mi ha portato ad accoglierlo in modo più ricco e completo rispetto alla prima volta. Inizialmente mi aspettavo altro, Fratter lo conoscevo genericamente in quanto legato alla produzione documentaristica, di cinema di genere e segnatamente horror, solo in un secondo momento avrei scoperto una vena drammatica, spunti da commedia, indagini metafisiche e quant'altro. Dunque l'impatto con Femminilità (In)corporea si è rivelato doppiamente spiazzante, vuoi perché dovevo ancora fare il callo al "marchio" di Fratter, vuoi perché comunque mi aspettavo altro, una storia più affine ai topoi del cinema di genere e commerciale, tutt'al più horror e citazionista. Femminilità (In)corporea arriva invece a sancire la maturità dell'autore nonché il suo desiderio di espandere i propri confini parecchio oltre.
L'impronta volutamente filosofica, speculativa, metafisica appunto, è sottile e io beotamente sulle prime non ho saputo coglierla ed assaporarla a pieno. Limite mio. Mea culpa. Il film ha decisamente il suo perché; i "tempi morti" di alcuni passaggi sono in realtà più sospesi e ieratici che defunti, così come il complicato combaciare di altri tempi, quelli narrativi (presente, passato e futuro), serve ad alimentare il clima di indagine immateriale e straniamento, ovvero la dimensione liminare nella quale si immerge consapevolmente il protagonista Raffaele, e dunque il fatto che anche lo spettatore vi si trovi catapultato, con tutte le nebbie del caso, gioca coerentemente con la cornice che avvolge la storia. Femminilità (In)corporea è anche il film di Anna Palco, l'attrice ha lavorato in altri due titoli di Fratter (Donne Di Marmo Per Uomini Di Latta e Sono Tutte Stupende Le Mie Amiche), ma certo questo è il suo film. Ne avevo scritto soffermandomi sulla inconfondibile silhouette della bella genovese - che non può passare inosservata - tuttavia va sottolineata anche la assai calzante prova recitativa che senza dubbio aggiunge del proprio al lavoro di Fratter. La Palco ha le espressioni giuste, spesso severe e "drammatiche", comunque sempre solide, magnetiche e profonde. E' anche attraverso i suoi occhi, le sue perplessità, il suo travaglio, che veniamo condotti e guidati attraverso le spire di questa battaglia di femminilità, estremamente corporea, materiale e carnale quella della Palco, impalpabile, inafferrabile ed evanescente quella della donna immaginaria ambita e vagheggiata da Raffaele (forse una musa, incarnazione stessa dell'Arte con la A maiuscola). Il venir citata e ricordata (anche) per le sue forme è fisiologico, succede alle più belle, difficile che al primo film con la Bellucci o la Fenech non si venga travolti ed inebriati dall'aspetto fisico delle due attrici, tuttavia l'onestà intellettuale deve portare a riconoscere che oltre all'avvenenza c'è stato di più, assai di più, al netto di atteggiamenti snobistici e pregiudiziali. Comunque positivo tutto il cast di contorno.
Anche delle musiche sono riuscito a parlar male, eppure il tema musicale principale del film sarebbe adattissimo ad un giallo dei bei tempi, dunque in grado di trasmettere tensione ed inquietudine, sentimenti perfettamente in linea con la condizione borderline dei personaggi ed il loro andirivieni tra realtà e onirismo. Per onestà intellettuale mantengo comunque viva di seguito la vecchia recensione datata maggio 2017, così che non ci siano equivoci ed ipocrisie di sorta; si tratta proprio di un ripensamento critico del mio rapporto con il film, alla luce della sopravvenuta familiarizzazione con il cinema di Roger Fratter. Si dice che solo gli stolti non rivedano le proprie posizioni, ebbene c'est vrai. Cenere sulla testa.
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Roger A. Fratter lo sto imparando a conoscere con relativo ritardo. La sua filmografia è già piuttosto estesa e Femminilità (In)corporea è la sua penultima produzione in ordine di tempo, tuttavia sto recuperando il tempo perduto, recuperando contestualmente anche i dvd dei suoi film (pur se con qualche difficoltà). Il suo website lo definisce "un regista amico dei filmakers"; bergamasco, classe 1968, attratto dal cinema e dal video fin da bambino, lavora in una tv dove si forma come montatore, è appassionato di western, realizza una infinità di cortometraggi e nel '97 arriva al suo primo lungometraggio. I suoi riferimenti sono Leone, Zulawski, Antonioni, Pasolini, Petri ed il cinema di genere declinato nei vari Fulci, Castellari, Canevari, Di Leo, etc. (su alcuni di questi ha prodotto anche dei documentari). Ha un forte legame con Nocturno, rivista per la quale scrive alcuni dossier sul genere western (ma che non gli risparmiano critiche negative ad alcune sue produzioni da parte del magazine).
La via al cinema di Fratter è quella di un autore indipendente e soprattutto autarchico, in grado di vivere e sopravvivere del proprio ecosistema. Oltre ad essere autore, sceneggiatore, regista, montatore e protagonista delle proprie storie, Fratter si circonda sempre dello stesso cast artistico, al quale di volta in volta affida le diverse parti in commedia. Seguendo dunque la sua produzione, titolo dopo titolo, si comincia a familiarizzare con quelle facce (e quei corpi), scoprendole ogni volta impegnate in ruoli diversi tra loro (o forse neanche tanto). Una sorta di comune applicata ad un teatro itinerarnte che racconta storie. Leggendo di Fratter e scorrendo i suoi lavori, appare evidente come il regista abbia per una buona metà di carriera (almeno sin qui) frequentato il cinema exploitation thriller e horror, sulle orme dei maestri dei cosiddetti b-movies nostrani degli anni '70 e '80. Il giallo rosa, ovvero quella commistione di nero (cronaca), rosso (sangue) e rosa (sentimenti e financo erotismo) che aveva costituito la formula vincente del cinema schietto e commerciale molto caro anche a Nocturno.
Femminilità (In)corporea appartiene alla produzione recente di Fratter (2012), nella quale il regista sperimenta altre strade, pur mantenendo una liaison con quanto fatto in passato. Ritroviamo gli attori, ma soprattutto le attrici dei suoi film, e sopravvive quello spirito intrinseco di cinema di genere che permea la "scuola Fratter". La storia è più metafisica del solito, con un povero Cristo, Raffaele (Fratter), stretto nella morsa della routine, della quotidianità e delle abitudini (tra queste rientrano anche la moglie Paola/Anna Palco e l'amante Greta/Monika Malinowska) che cerca un riscatto intellettuale e spirituale nell'arte, a tal punto da crearsi una donna immaginaria ricavandola da una tela, un'amante sublimata (Rachel Rose Wood) mediante la quale prendersi le sue rivincite sulla soffocante realtà oramai priva di stimoli.
Il tono della narrazione è drammatico, seppur con sporadiche aperture alla commedia e all'erotismo. Quest'ultima sfumatura è perlopiù garantita dal parterre di attrici (e da qualche momento d'amore); si perché Fratter non se le è scelte proprio proprio anonime. Non tanto per una questione di celebrità, quanto per la fisicità che non passa inosservata. E questo - per quanto ho potuto vedere sin qui - è un trademark del regista lombardo; difficilmente le sue attrici hanno l'aspetto di normali casalinghe o di una Margherita Buy qualsiasi, per dire. L'accento sulla sensualità, sulla voluttà e sulla carnalità delle sue muse è sempre fortemente pronunciato. Questo da una parte irretisce lo spettatore (ovviamente maschio) dall'altra però presenta l'insidia di distrarre e allontanare dall'essenza vera della storia. Impossibile ad esempio guardare le scene con Anna Palco senza indugiare sulle sue forme, così come le mise delle varie Malinowska, Giulia Marzulli (Gianna, la figlia di Fratter nel film), della Wood (quasi mai vestita per la verità) e della stessa Palco (gran profluvio di lingerie) sono sempre piuttosto ammiccanti, aggressive, erotizzanti, glamour e mai "casual". A conti fatti, rimane da capire se questo sia un vantaggio o uno svantaggio del film, ma indubbiamente è una cifra stilistica acclarata di Fratter.
Femminilità (In)corporea incuriosisce per certi versi, lascia più perplessi per altri. Il tema è ostico, soprattutto perché affrontato con un piglio un po' onirico, filosofico, volutamente sui generis e simbolico. Insomma impegnativo. Non sempre è chiarissimo come dipanare il senso della scena ed il modo in cui si raccorda (o si sovrappone) a quella che la precede. Noin aiutano alcuni tempi morti della recitazione, che magari intendono dilatare istanti spazio-temporali alla maniera di un Antonioni, ma che in una produzione indipendente a basso budget e senza premi Oscar davanti alla MdP finiscono col tradursi in acerbità ed ingenuità. Il film procede a fasi e strattoni, in alcuni punti arranca in altri decolla, anche se nel complesso si lascia seguire piacevolmente e, se non altro, porta con sé un senso di freschezza e "novità" che di certo manca al nostro cinema attuale affogato di film tutti uguali. Molto accattivanti le riprese notturne di Bergamo, sempre sul filo dell'inquietudine e di una quarta dimensione segreta e non detta. E' il mondo delle ombre e delle presenze ultraterrene che del resto popolano anche la storia e soprattutto la mente (o la realtà) di Raffaele. Meno allettanti le musiche, nota dolente delle produzioni di Fratter per quanto visto (e sentito) fin qui. Ma, come detto, sono un neofita dell'autore, dunque avrò modo di approfondire proseguendo nelle visioni.