Nonostante nella filmografia di Roger Fratter Cymbaline sia ben l'ottavo film, si situi a metà carriera e per certi versi segni un po' una svolta, perlomeno nel genere frequentato dal regista sino ad allora (2007), io ci sono arrivato come ultimo approdo. Cymbaline è infatti l'ultimo film che mi mancava da vedere e trattare su Cineraglio per completare l'intera opera dell'autore bergamasco (sin qui), nell'augurio - a me come spettatore prima ancora che a Fratter come cineasta - di poter vedere altri suoi lavori in futuro. Del resto il mio percorso è stato ondivago, ho imparato a conoscere Fratter attraverso quello che, all'epoca (il 2013), era il suo ultimo film in uscita, Femminilità Incorporea, con il quale per altro inizialmente ebbi un impatto un po' contraddittorio, al punto tale da aver sentito la necessità di tornarci sopra a distanza di tempo con un aggiornamento della sua pagina su questo blog. Ho quindi esplorato la filmografia di Fratter in modo affatto cronologico, spesso per motivi di mera reperibilità dei suoi film. In tal modo non ho seguito l'evoluzione del Fratter regista horror che poi si apre ad altro, ma ho subito incontrato il Fratter frequentatore (e cultore) di più generi, certamente assai attento e recettivo nei confronti di tutto ciò che è suspense, enigma e persino orrore ma, come spesso accadeva ai nostri registi degli anni '60, '70 e '80, duttile e capace di muoversi tra atmosfere ed ambientazioni diverse, talvolta anche molto distanti tra loro.
Cymbaline nasce dalla psichedelia, direttamente dalla canzone dei Pink Floyd che ne porta il titolo (contenuta sull'album "More" del 1969, l'anno psichedelico per eccellenza). Con tanto pedigree, è chiaro che il film non potesse che spingere in una certa direzione. Questo, unitamente all'indole di Fratter, fisiologicamente refrattaria ai film precisini, dove tutto torna, nei quali la trama è liscia e geometrica, ed allo spettatore non viene lasciato alcuno spazio di manovra libera ed individuale, prefigura senza possibilità di fraintendimenti cosa aspettarsi dalla visione di Cymbaline. Dunque una storia che prima di essere tale è "atmosfera", declinata attraverso immagini e simbolismi, ai quali Fratter non imprime mai una univoca chiave di interpretazione. A grosse linee la sceneggiatura tratteggia il personaggio di Anthony (Omar Shanay), fotografo, pittore e perditempo, un po' fuori dagli schemi della società odierna sempre efficiente, produttiva, performante e politicamente corretta. Anthony non veste bene, occupa il suo tempo libero inseguendo chimere e idee estemporanee, è volubile e molto sensibile all'arte, anche naif. Circondato di donne, piace un po' a tutte (proprio per la sua difficile incasellabilità) e tuttavia non ha un rapporto solido e preferenziale con nessuna di loro. Lo circondano compagne che sono muse, stereotipi esistenziali; Fanny (Susan Semmunegus), libera, spontanea e priva di malizia, Michelle (Dana Cordella), direttrice di una rivista per donne, dal carattere molto aggressivo, determinato e sopraffattrice, Flavia (Vera Wright), egocentrica, immatura e viziata figlia di papà. Come se non bastasse, Anthony è perseguitato dalla visione di una figura femminile bionda, che sembra sempre osservarlo da lontano ma che allo stesso tempo è sfuggente ed indeterminata, soprattutto irraggiungibile. Infine, periodicamente Anthony rende conto della sua vita - come si trattasse di un diario psicanalitico - ad una sorta di commissione formata da tre uomini in giacca e cravatta (tra queste Pulici di Nocturno), figure giudicanti e severe, che hanno una bassa opinione di Anthony e cercano chirurgicamente di minarne l'autostima e condizionarne scelte e comportamenti.
Senza svelare troppo della trama, è evidente quanto ognuna delle figure che circondano il protagonista sia tanto materiale quanto allegorica, e quanto Fratter intenda delineare una serie di suggestioni attraverso il mondo che circonda e nel quale è immerso Anthony. L'uomo è perso tra le sue fragilità, debolezze ed indecisioni, sospinto da correnti eterogenee che vorrebbero pilotarne le azioni e che non sempre si preoccupano dell'effettivo bene e della natura umana più vera e profonda. Anthony è ogni uomo, il simulacro dell'umanità e del pericolo di frattura alla quale essa è esposta a contatto con la realtà, troppo netta e prosaica per lo spirito che alberga indelebilmente in ogni creatura vivente. Emblematico in tal senso il finale, sia per quanto riguarda la commissione dei tre uomini, sia per quanto attiene alla donne di Anthony. Particolarmente importante il commento musicale in questo caso, concorrente a delineare gli stati d'animo dei personaggi ma, in ultima analisi, anche dello spettatore durante la visione (con il consueto gioco di citazioni di sonorità del nostro cinema di genere). Lo stesso Fratter utilizza diverse modalità di ripresa, usando l'inquadratura come ulteriore mezzo per trasmettere messaggi "subliminali" al proprio pubblico. Cymbaline è indubbiamente un film onirico e suggestivo, non privo di nudità ed elementi vagamente soprannaturali (ingredienti sempre cari a Fratter) e tuttavia notevolmente differente da molte altre storie raccontate dal regista prima e dopo. Suggestivo il fatto che proprio Cymbaline chiuda il mio percorso esplorativo, a suo tempo cominciato con un altro film estremamente simbolico e sognante come Femminilità Incorporea.