Copycat – Omicidi In Serie

Copycat – Omicidi In Serie
Copycat – Omicidi In Serie

I film sui serial killer attirano sempre gente al cinema e però sono talmente tanti che hanno pure stufato; per continuare a dare la polpetta al pubblico bisogna cucinargliela in qualche altro modo, nuovo, sfizioso, invitante. E se facessimo un film sui serial killer al quadrato? Più o meno questo devono aver pensato alla Warner Bros quando hanno complottato con Ann Biderman e David Madsen per avere un degna sceneggiatura da far interpretare alla coppia Sigourney Weaver e Holly Hunter, da affidare alla regia di Jon Amiel. E' vero che il britannico girerà poi Entrapment (quello col sedere di Catherine Zeta Jones) e The Core, ma all'epoca Amiel veniva da Sommersby, non so se mi spiego, una bell'azzardo. Le idee forti del film sono due, il fenomeno "copycat" (crimini imitativi) e la coppia di protagoniste tutta al femminile. Copycat è un film a suo modo "femminista", relega i personaggi maschili in secondo piano, non li dipinge mai granché bene e si affida tutto a due donne d'acciaio, anche se con sfumature, psicologie e caratteri diversi (ma complementari).

Un serial killer sta terrorizzando San Francisco, la Polizia indaga senza troppa fortuna cercando di non far trapelare la notizia che si tratta di omicidi efferati commessi dalla stessa mano. Nel frattempo la dottoressa Helen Hudson (Sigourney Weaver), segue privatamente i casi, intuendo la verità. La Hudson era un'importante psicologa criminale, punto di riferimento per gli studi sul settore ma, dopo aver subito un tentativo di omicidio, vive reclusa nel suo appartamento, afflitta dall'agorafobia. La Polizia chiede l'aiuto esterno della dottoressa, mentre sul caso indagano l'Ispettrice Mary Jane Monahan (Holly Hunter) e l'ispettore Reuben Goetz (Dermot Mulroney). - SPOILER: Gli omicidi proseguono e la Hudson mette sempre più a fuoco il profilo del potenziale assassino. Il killer si sta comportando come un imitatore, sceglie celebri serial killer del passato (tutti studiati dalla Hudson) e ne riproduce maniacalmente i delitti, fino a replicare il tentato omicidio subito proprio dalla Hduson. Ad un passo dalla morte, interverrà la Monahan che riuscirà insieme alla dottoressa ad uccidere il killer, Peter Foley (William McNamara). Anche se, sul finale, si scopre che l'uomo era in contatto con Daryll Lee Cullum, precedente maniaco che aveva minacciato la Hudson (nel frattempo in galera), dal quale riceveva istruzioni. Neutralizzato Foley, Cullum, assurto a sorta di messia galeotto, è già in contatto con un nuovo discepolo, pronto a seguire le orme di Foley.

Copycat non punta tanto sullo svelamento dei colpevoli, non è un giallo ma un thriller, che vive di atmosfere e improvvisi rovesciamenti di fronte. Prova ne sia il fatto che neanche a metà pellicola veniamo a tu per tu con il killer, sappiamo esattamente chi sia, come viva e come agisca; il cuore della storia semmai è come l'ispettrice Monahan, coadiuvata dalla Hudson, riuscirà ad acciuffarlo. E, cosa ancora più importante, sono i personaggi ad interessare, le loro psicologie, il tratto attento e sfaccettato conl quale sono offerti allo spettatore. Se la dottoressa Hudson è accattivante e credibile, ma tutto sommato di maniera, nobilitata dalla solita sublime interpretazione di Sigourney Weaver, l'ispettrice Monahan è la vera perla della sceneggiatura. Ruolo difficile, complicato, reso magnificamente dalla Hunter. Mary Jane è una donna dura e determinata, molto probabilmente temprata dal lavoro che fa, con tratti psicologici più maschili che femminili. Il suo aspetto è impeccabile, sobrio, asciutto, regimental. Indossa gonna e scarpe col tacco per non venir meno alla propria femminilità, ma allo stesso tempo è adeguata ad ogni situazione, formale, rigorosa e al contempo aggraziata ed armoniosa. La sua frangia è vistosa e un po' retrò, la sua coda fluente estremamente femminile. Una specie di equilibrio di contrasti. Ogni frase di Mary Jane è una piccola sentenza, una scheggia di verità, una pragmatica e concreta dichiarazione di intenti. Questa sua durezza si contrappone alla fragilità patologica della Hudson, grande intelligenza naufragata nell'autocompatimento, negli psicofarmaci e nell'alcol. L'interazione tra le due donne è la vera chiave di lettura del film.

Riguardo ai personaggi maschili, come detto, c'è poca preziosità. L'ex marito della Monahan (pure lui agente del Distretto) è un riottoso incapace di accettare l'abbandono da parte di Mary Jane; il suo nuovo compagno di pattuglia, Goetz, è un bambinone playboy (anche se dal cuore buono); il tenente del Distretto è un cocciuto un po' troppo compromesso a livello politico. Infine il collaboratore/tuttofare/maggiordomo della Hudson, è un gay mondano e ciarliero. Per non parlare dei killer, che sono killer appunto, con tutti i disturbi possibili ed immaginabili del caso (compreso il complesso di Edipo). Non tutto è credibile e realistico al 100% in Copycat, la concatenazione di eventi, le coincidenze e il dipanarsi delle situazioni non necessariamente è rispondente ad una verosimiglianza inattaccabile, tuttavia il film richiede una maggior attenzione all'aspetto psicologico e descrittivo dei personaggi che alla trama strettamente poliziesca. Suo punto forte è la sensazione "agorafobica" (per l'appunto) di morbosità; un cappio che si stringe progressivamente attorno al collo dello spettatore (in parallelo alla Hudson). Copycat è "gloomy", nero, viscoso, disagevole, nella manifestazione dei suoi squallidi killer, nella malattia di Sigourney Weaver, nella scorza emotiva impenetrabile della Hunter, una donna che non vuole soffrire e si protegge come può, con la pistola e una apparente insensibilità. Il finale aperto non ci sta granché, non era il film giusto, a parer mio, per finire come mille altri, la personalità di Copycat è tale che avrebbe meritato un finale tutto per sé, su misura; e quello che avviene sul tetto dell'edificio tra la Monahan, la Hudson e Foley lo sarebbe stato.

Trailer ufficiale

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