Casino Royale

Casino Royale
Casino Royale

Dopo il passaggio del testimone da Connery a Moore, quello tra Brosnan e Daniel Craig è probabilmente il secondo, in ordine di importanza, ad aver segnato il franchise di 007. Una mutazione di pelle profondissima e forse (purtroppo) un punto di non ritorno oltrepassato con estrema disinvoltura da parte dei produttori storici Broccoli e Wilson. Brosnan sarebbe stato anche interessato a proseguire ma fu deciso di voltar pagina (ricevette il benservito dalla Broccoli con una telefonata) e si optò per un nuovo volto di Bond, il sesto. Tra i vari Henry Cavill, Eric Bana, Hugh Jackman (poi tutti supereroi Marvel, fateci caso....dice molto sull'evoluzione del personaggio), Sam Worthington, Clive Owen, Goran Višnjic, la scelta cadde su Daniel Craig. Un'opzione sorprendente, soprattutto per la fisicità dell'attore, in netto contrasto con tutte le precedenti. Alcuni fan avviarono su internet una campagna di boicottaggio (danielcraigisnotbond.com) senza successo, poiché Craig fu ufficializzato come effettivo James Bond. Quel volto e quel corpo facevano parte di un ripensamento complessivo del mondo di 007 post 11 settembre 2001, esploso in tutta la sua crudezza e virulenza nel primo capitolo della (nuova) serie, Casino Royale, a dispetto del fatto che la sceneggiatura tornasse sulle pagine di Fleming dopo molto tempo (per una questione di diritti non si era riusciti prima a trarre spunto dall'omonimo libro dello scrittore inglese), e del ritorno alla regia anche di Martin Campbell, già in sella per l'ottimo Goldeneye (ad un certo punto si erano fatte molto concrete le voci di Tarantino regista, il quale però non accettò adducendo la scarsa libertà artistica di cui avrebbe goduto).

Casino Royale è un totale, a suo modo brutale, cambio di registro. Addirittura il preambolo del film, quello che precede la gun barrel, è l'atto di assunzione della licenza doppio zero da parte di Bond. Ora, tenendo conto che il primo 007 è del 1962, tale evento si sarebbe dovuto situare prima di quella data, invece - pur ritratto in bianco e nero (a dare la patina passatista) - è sfrontatamente ambientato al giorno d'oggi, con Daniel Craig che commette i suoi due omicidi propedeutici all'acquisizione della licenza. Dunque un nuovo avvio, una ripartenza ex novo, un'arrogante ed ambiziosa riprofilatura di un personaggio che aveva un suo bel passato ingombrante; come a dire, non abbiamo bisogno del vecchio armamentario, ce la caviamo da soli. Ovvio che molti estimatori di Bond (me compreso) abbiano storto la bocca per un approccio così spavaldo e irrispettoso. Poi c'è Craig, con i suoi pettorali scolpiti, i suoi addominali, i suoi occhi di ghiaccio, la sua mascella indurita, il suo naso da pugile, il suo sguardo da killer della Mafia cecena, che corre a più non posso e picchia chiunque, con una violenza ed una ferocia parossistiche e senza soluzione di continuità. Da incantevole e sarcastico damerino, James Bond è diventato un buttafuori, un macellaio di periferia (ancorché vestito con abiti firmati, ma che porta con un certo "disprezzo", come sentenzia Eva Green nel film, proprio a sottolineare la caratura del personaggio), un paranoico che sostituisce ad astuzia ed ironia i suoi bicipiti. Ad ogni inseguimento Bond si tramuta nel rottweiler che ti azzanna il polpaccio, o muore la vittima o muore Bond provandoci, tertium non datur.

Allo spettatore viene urlato in tutte le maniere che il focus si sposta completamente su James Bond, anzi, Daniel Craig, nuovo leader di matrice superomistica. Tutta la cornice bondiana di lusso, gadget, eleganza e belle donne è meramente funzionale all'esposizione del corpo di Bond, il resto si riduce a quinta teatrale, un trampolino che deve mettere in evidenza lui e soltanto lui. Dalla gun barrel spariscono i sinuosi corpi femminili, arrivano le simulazioni grafiche di botte e si conclude col volto iconico di Bond (mai successo prima). Niente Moneypenny, niente Q, dall'ecatombe si salva giusto M (Judi Dench). Bond non ricorre a diavolerie hi-tech, bastano i suoi cazzotti. Bond non beve più neanche il Martini agitato non mescolato. Alla domanda del barman su come debba comportarsi col cocktail, Craig risponde sprezzante "cosa vuole che me ne freghi!", un disprezzo che sembra proiettato su tutti i 20 film precedenti. Le Bond girl rimangono, ma sono inquadrate in tutt'altro modo rispetto al passato. C'è Caterina Murino, che neppure si spoglia, e la cui scena di seduzione si rivela insolitamente casta. C'è Eva Green, alla quale naturalmente viene dato un profilo meno "maschilista" ed assai più al passo con i tempi (politicamente corretti), dunque una psicologia più che un corpo (anche se ovviamente all'attrice il corpo non difetta, certo non potevano pensare alla Mazzamauro come sparring partner di 007). Diventa insopportabile il rapporto sentimentale di Bond con la sua eroina di turno. Un'inutile profluvio di patetismi e sciocchezze da fidanzatini di Peynet che francamente stona moltissimo, ma Broccoli e Wilson devono aver pensato che "ammodernare" Bond comportasse farlo diventare un Raoul Bova o un Argentero in una commedia Fausto Brizzi, sguardi languidi, romanticherie, fragilità indirettamente proporzionali al testosterone, cuori spezzati, frasario impegnativo (Craig, appena arrivato, si vuole già dimettere da agente segreto per amore della Green, dedicandosi ad un lavoro "normale" pur di seguire la sua amata in capo al mondo). Stavolta è addirittura James Bond ad uscire dalle acque come una sirenetta (mentre Caterina Murino lo contempla in estasi), in una citazione al contrario delle rispettive scene di Ursula Andress e Halle Berry che ribaltano in chiave "parità dei sessi" (e non senza imbarazzo) il tradizionale machismo bondiano.

Di contro viene acuito ed esasperato ogni momento di lotta, un abbrutimento in chiave "veristica" ed efferata. Inqualificabile in tal senso la scena della tortura inflitta da Mads Mikkelsen a Craig, qualcosa che sarebbe stato impensabile in qualsiasi Bond precedente. Una gratuita, sadica e selvaggia parentesi che stupisce sulla rinuncia di Tarantino alla guida del film, visto che non si capisce in cosa avrebbe potuto far peggio, o andare oltre. Pure il villain di Mikkelsen è malconcio e patito sin dall'inizio, a ribadire quanto tutto il nuovo mondo bondiano sia popolato di afflizione, sofferenza e decadimento a tutti i livelli, a differenza del senso di puro eroismo ed avventura che invece avevano caratterizzato il "vecchio" (e manicheo) mondo dell'agente segreto, certamente più solare e frizzante (tranne forse durante l'interregno con Timothy Dalton). Daniel Craig è rissoso, vendicativo, a tratti "stronzo", completamente privo di senso dell'umorismo, attaccabrighe ed ingestibile,  un toro imbufalito 24h, una macchina da guerra inarrestabile, ma se alla fine porterà a termine la missione o avrà raso al suolo un'intera città non è dato di sapere, si accettano scommesse. Il successo in sala fu straordinario, a testimonianza del fatto che il pubblico in larga maggioranza ha gradito il dossier Craig. Purtroppo io non sono tra quelli e, pur ritenendo i film che lo vedono protagonista tra i più spettacolari ed adrenalinici dell'intera serie, faccio molta fatica a digerirlo come Bond, in particolare nei momenti di paturnie emotive e psicanalitiche del personaggio, costantemente "innamorato" di qualche donna, afflitto da tormenti interiori che nemmeno nei film di Ozpetek, e completamente schiavo dei propri umori, mai filtrati da una razionalità più posata, fine e sottile, che parrebbe invece dover essere una cifra da agente segreto. Quello non è più 007, è una nuova serie, che si sarebbe potuta chiamare Jason Bourne, James Boom o Daniel Craig Spacca La Faccia A Tutti, ma non 007. Da citare anche la presenza nel cast di Claudio Santamaria e Giancarlo Giannini, come carta da parati per le imprese di Craig. Prima di Eva Green era stato fatto il nome di Charlize Theron, Angelina Jolie e Audrey Tatou, ma come poi è andata è cosa nota.

Trailer ufficiale

Galleria Fotografica