Birdman O (L’imprevedibile Virtù Dell’Ignoranza)

Birdman O (L’imprevedibile Virtù Dell’Ignoranza)
Birdman O (L’imprevedibile Virtù Dell’Ignoranza)

Nove candidature all'Oscar e quattro statuette portate a casa, comprese le due più prestigiose, miglior film e miglior regia. Non la spunta Michael Keaton, nel quale credevano in molti (gli viene preferito Eddie Redmayne nei panni di Stephen Hakwing in La Teoria Del Tutto.... una di quelle vittorie un po' facili). Birdman comunque spariglia abbastanza, non è il "tipico" film che strappa l'Oscar, l'anno prima aveva vinto 12 Anni Schiavo, per dire. L'accoglienza fu tendenzialmente positiva, in qualche caso entusiasta, tuttavia non mancarono neppure voci più contenute, non un film da plauso unanime insomma anche se, ripeto, nel complesso i giudizi furono ampiamente positivi.

Iñárritu ci arriva bello rodato, dopo aver ricevuto tanti applausi per i vari 21 Grammi, Babel e Biutiful (e per altro nel 2015 sarà il turno del multiplatinato The Revenant, altro Oscar alla regia, il secondo consecutivo, non accade molto spesso agli Academy Awards). Nonostante tutti i segni più sul registro e le premesse scintillanti con cui Birdman mi si è presentato, non posso dire che la visione mi abbia particolarmente elettrizzato. Faccio fatica a capire i giudizi polarizzati, poiché Birdman ha pregi e difetti, e a parer mio non è né un capolavoro né una schifezza, ma un'opera della quale ho apprezzato alcuni aspetti e disapprovato altri. E' un film tecnicamente molto valido, ai limiti (ed oltre) del virtuosismo registico, con tanti piani sequenza concatenati tra loro a dare l'idea di un unico movimento fluido di macchina che dura ininterrottamente per quasi tutti i 119 minuti di durata. Oltre ciò la MdP ne compie di ogni, girovaga vorticosamente attorno ai tavoli degli attori riprendendone vivacemente i dialoghi, impenna verso cieli notturni per poi ripiombare a terra mentre albeggia, segue le piroette volatili di Michael Keaton/Birdman, si incunea nei dedali dei corridoi stretti e angusti del teatro di posa (metafora dei precari disagevoli spazi mentali ed esistenziali dei personaggi). Al contempo però questa cifra stilistica trasmette un evidente senso di autocompiacimento, una pletora di geometrie fine a se stessa, che paradossalmente pur stando sempre addosso agli attori finisce con il disinteressarsene, usandoli come meri oggetti di scena, quinte e trampolini oltre cui lanciarsi, costantemente alla ricerca dello scorcio di ripresa bizzarro, caratteristico, concettualmente "estremo".

Notevole la prova degli attori, tutti molto bravi e "teatrali" (come era giusto che fosse). Come fece Kubrick con Cruise e la KidmanIñárritu furbescamente ingaggia un Micheal Keaton versante pressoché nelle medesime identiche condizioni del personaggio che deve interpretare, un ex supereroe campione del botteghino, un uccello volante strabordante di ego, mal visto dalla critica più snob per il suo portato altamente commerciale e poco autoriale. Il commento sonoro è azzardato e coraggioso, tutto fatto di percussioni, ansiogene e nervose, con momenti di sospensione dell'incredulità quando si arriva a trovarsi direttamente il batterista nel mezzo della scena, totalmente avulso eppure ricompreso in essa, se si vuole comprendere al 100% lo stato emotivo di Riggan Thomson/Michael Keaton. Uno po' velleitarie certe caratterizzazioni; alla fine il personaggio di Naomi Watts non va da nessuna parte, ed anche gli aleatori riferimenti alla omosessualità sembrano più una spezia per insaporire, un prurito sterile, anziché una cifra interiore del personaggio (e infatti nel trailer non può mancare il bacio saffico, che lascia presagire chissà quali momenti bollenti poi del tutto assenti nel film). Edward Norton è estremamente caricaturale.

Talvolta capita di vedere dei film dove ti sembra di non afferrare tutto quello che c'è da afferrare, come se tu non avessi colto, ti fosse sfuggito un disegno più ampio, più grande. E pensi che il limite è tuo, che certamente il regista voleva dire qualcosa ma tu non sei stato in grado di leggere tra le righe. Succede, ed è così nella maggior parte dei casi. Ma accade anche che taluni film trasmettano quella sensazione senza che in realtà ci sia nulla di più sotto il velo della prima impressione. Birdman, a mio modesto parere, appartiene alla seconda categoria. Sembra esserci molto di più, il discorso sulla fama, sui social network, il sovrapporsi di realtà e finzione, vita vera e rappresentazione; ma in fondo in fondo, non c'è poi molto di più di quello che i dialoghi immediatamente dicono. La sola sfuriata di Emma Stone sul non avere un profilo Blogger, Twitter e Facebook (oltre alla corsa in mutande di Keaton con milioni di visualizzazioni) dovrebbe essere una riflessione a 360 gradi sul mondo dei Social? Il fatto che Keaton interpreti una pièce che riflette i suoi fallimenti umani dovrebbe bastare per giocare di sponda tra arte e realtà? Tutti i tic, le fragilità, le manie e le megalomanie dei personaggi basterebbero ad andare in profondità delle umane virtù e pochezze? I dialoghi interiori tra Thomson ed il suo alter ego Birdman sarebbero così brucianti e pungenti sul tema Hollywood, blockbuster, botteghino vs teatro e cinema d'autore? La mia risposta è no. Per certi versi Birdman è un film furbo (basti pensare al finale o a come Iñárritu "sprechi" alcune occasioni, come il rapporto tra Thomson e sua moglie Sylvia/Amy Ryan, di cui praticamente non sappiamo nulla), programmato un po' a tavolino per provocare e far parlare di sé. I temi importanti che affronta li affronta in modo orizzontale, tiepido, la vera verticalità arriva sulla messa in scena, quella si vibrante ed estremamente sentita. Iñárritu inverte l'ordine dei fattori e si serve dei contenuti (i mezzi) per esaltare la forma (il fine). Naturalmente il prodotto finale è tutto fuorché disprezzabile, ed anche fosse solo per la confezione una visione la merita, anche se personalmente non mi unisco al coro di lodi sperticate che lo hanno accolto acriticamente.

Trailer ufficiale

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