Atlantide

Atlantide
Atlantide

Nel 1919 lo scrittore francese Pierre Benoît pubblica il romanzo L'Atlantide che diventa un best seller e viene tradotto in 15 lingue, e grazie al quale Benoît viene introdotto all'Académie Française nel 1931. Nel frattempo il critico letterario Henry Magden accusò Benoît di plagio, ritenendo che la sua opera letteraria fosse sin troppo ispirata a La Donna Eterna di H. Rider Haggard (1886-'87). Benoît lo portò in tribunale e perse la causa. In entrambi i libri la protagonista femminile deve molto alla figura di Tin Hinan, ritenuta la regina e progenitrice della tribù dei Tuareg. Benoît immagina che una spedizione militare francese scopra il mitico regno di Atlantide - citato per la prima volta da Platone - addirittura nel bel mezzo del deserto del Sahara, come se questo un tempo fosse stato un enorme mare nelle cui profondità sprofondò Atlantide. Poi, essendosi prosciugato, il suo letto ha portato alla luce l'antico regno, anche se è ancora ben celato tra delle formazioni rocciose e solo pochi eletti sono riusciti a trovarlo. Qui regna Antinea, che come una mantide religiosa è amata da uomini che poi conduce allo sfinimento, alla pazzia ed alla morte. Nel 1932 il produttore tedesco Seymour Nebenzahl finanzia il film L'Atlantide, con Brigitte Helm nel ruolo di Antinea. Nel '49 finanzia anche il remake americano, la cui regia inizialmente è affidata a Arthur Ripley, poi sostituito da John Brahm ed infine concluso dal montatore Gregg G. Tallas, il quale dovette ricorrere anche a scene prese dal film precedente per portare a compimento l'opera.

Come coppia di protagonisti, ovvero la regina Antinea ed il suo amante, il luogotenente francese Saint. Avit, vengono ingaggiati María Montez e suo marito Jeann-Pierre Aumont. La Montez riceve una cifra monstre per l'epoca di 100.000 dollari, in linea con l'intento faraonico del kolossal che pare voler competere direttamente con i film biblici o con la Cleopatra di Cecil B. DeMille. Le scenografie sono imperiali, magniloquenti, sontuose e molto tronfie, lo stesso dicasi per i costumi e per una fotografia molto affettata, elegante e barocca. Il letto di Antinea a forma di guscio di lumaca dalle proporzioni gargantuesche basta da solo ad esemplificare le ambizioni produttive. Poi ci sono statue d'oro, immaginari nettari prelibati dal forte impatto alcolico, danzatrici, guerrieri velati e guardie del corpo della regina, e tutto l'armamentario necessario a trasformare Atlantide in un luogo davvero mitico, sfarzoso e leggendario, dal quale nessuno torna indietro poiché Antinea fa giustiziare tutti. La monarca è tanto bella, seducente ed ammaliante quanto cinica, risoluta e crudele. La Montez è perfetta per il ruolo, la sua bellezza è feroce esattamente come dovrebbe essere.

A distanza di tre quarti di secolo il film chiaramente appare datato e rigidamente appartenente alla propria epoca storica, tuttavia forse è proprio ciò che gli dona un fascino ulteriore, particolare, magico, perché contribuisce a mettere fuori dal tempo la vicenda narrata e a trasformare il regno di Atlantide governato da Antinea in un luogo completamente avulso dalla nostra contemporaneità, dal nostro spazio e dal nostro tempo. L'idea di assegnare Atlantide alle sabbie del Sahara anziché alle profondità oceaniche fu rivoluzionaria perché sorprese l'immaginario collettivo al riguardo. Il rovescio della medaglia è che ovviamente Atlantide finisce un po' con l'assomigliare ad un altro antico Egitto ed Antinea ad un'altra Cleopatra. La Montez sarebbe stata un'altra Cleopatra perfetta accanto a Theda Bara, a Claudette Colbert e poi a Elizabeth Taylor e Vivien Leigh, aveva in tutto e per tutto il phisique du role, oltre ad un magnifico taglio di capelli, ad uno sguardo penetrante e ad una sensualità che bucava lo schermo. Nel lungo gioco di occhiate che lei e Aumont si scambiano durante il gran ballo c'è qualcosa di ingenuo e al contempo di stregonesco.

Il film all'epoca non fu ben accolto, al netto delle lodi per la Montez, venne stigmatizzata la posticcia artificiosità della messa in scena (comunque impressionante se si pensa che il budget reale fu molto più contenuto di quanto appare sullo schermo) e la relativa semplicità di una storia sentimentale e un po' languida, sebbene inizialmente si temesse che il pubblico avrebbe avuto difficoltà con la storia "troppo filosofica" di Benoît. Assolutamente condivisibile l'imputazione di una scarsa (se non del tutto assente) impronta registica, dovuta ovviamente al passaggio di ben sei mani dietro la macchina da presa (ma anche alla sceneggiatura si applicarono in parecchi), comprese quelle di Tallas, che di professione faceva il montatore e non il regista. Col senno di poi la Montez si disse molto soddisfatta del risultato finale, senz'altro della propria recitazione, poiché dichiarò di aver temuto di risultare una sorta di vampiro risibile "alla Theda Bara", mentre il suo intento era di impersonare una figura tridimensionale che andasse oltre la semplice carica erotica (che tutti si aspettavano da lei). Oggi il film si è guadagnato lo status di "classico camp".

Trailer ufficiale

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