Anno cruciale per Eleonora Giorgi il 1974, ben quattro pellicole quell'anno (per i feticisti delle statistiche, il suo record), Appassionata, Il Bacio, La Sbandata e Alla Mia Cara Mamma Nel Giorno Del Suo Compleanno. Eleonora è al massimo del suo splendore (ma lo rimarrà per diversi anni) e lo schermo delle sale brilluccica attorno alla sua figura quando compare in scena. Luciano Salce la sceglie per l'amarissima commedia che decide di trarre dall'opera teatrale di Rafael Azcona e Luis Berlanga Nel Giorno Dell'Onomastico Della Mamma. Cura il soggetto con Sergio Corbucci e Massimo Franciosa e ne ricava uno dei lavori più grotteschi, surreali e terrificanti della cinematografia italiana rivolta ad esplorare la sua società borghese (in questo caso alto borghese e nobiliare). Come protagonista opta per Paolo Villaggio, questo è il primo film che girano assieme e l'unione sarà vincente visto che l'anno dopo arriverà il monumentale primo Fantozzi. A chiudere il cast infernale arriva Lila Kedrova, già Oscar per Zorba Il Greco e con un curriculum di prestigio che contava nomi come Hitchcook, Arthur Hiller e John Huston.
Il trentaduenne conte Ferdinando (Paolo Villaggio), detto "Didino", vive con la madre e vedova Mafalda (Lila Kedrova) nella villa di famiglia. Il rapporto tra i due è morboso e asfissiante. Mafalda continua a trattare il figlio come un bimbo e, dal canto suo, Didino ha sviluppato un vero e proprio complesso edipico, al punto che il suo rapporto con le donne è pieno di difficoltà, sospetta di essere omosessuale (un "culattina") e alterna momenti di grande ribellione al totale asservimento verso la propria tutrice. Quando l'anziana governante di casa Driade muore per un incidente domestico, viene assunta la giovane e claudicante Angela (Eleonora Giorgi), la quale risveglia un intero universo di vitalità in Ferdinando. - SPOILER: Pur dovendo combattere ferocemente con le proprie pulsioni infantili e con il timore reverenziale verso la madre, Ferdinando riesce ad emanciparsi dal giogo familiare, ma, sul più bello, proprio quando decide di lasciare la sua vecchia vita per intraprenderne una nuova ed autonoma insieme ad Angela, Mafalda con la scusa di un ultimo bagnetto prima della partenza lo affoga nella vasca da bagno, pur di non doversi separare dal suo piccino per colpa di un'altra donna.
La potenza devastante del film di Salce è il tono, cinico, disperato, impietoso, doloroso a livello epidermico, con il quale viene ritratto innanzitutto il legame tra Mafalda e Didino, e più in generale il modo di stare al mondo, di rapportarsi al prossimo, di quella famiglia, completamente priva di umanità, senso di acoglienza e misericordia. La scena del pranzo annuale di beneficienza per i poveri credo sia uno dei momenti più crudi e moralmente violenti della storia del nostro cinema. Per altro Salce fa capire ripetutamente che le dinamiche comportamentali non si possono ridurre a identificare in Mafalda l'aguzzina e in Ferdinando la vittima, poiché lo stesso Ferdinando, quando può, si accanisce sugli altri, si veda appunto i poveracci con i quali "gioca" come il gatto col topo. Anche l'unione con Angela è incredibilmente complessa, sottile, sfaccettata. C'è del tenero, dell'innocenza, della dolcezza tra i due, ma c'è anche un usarsi (più o meno consapevole) reciproco. Angela vede in Didino la sua salvezza, dopo una vita di mortificazioni e stenti, Didino vede in Angela la sua via di uscita dalle prigioni familiari, anche se non è, e non sarà mai, mentalmente libero dalla possessione della madre, come una specie di Norman Bates. E' esemplare l'allontanamento di Angela dalla casa dopo che Mafalda scopre i due ad amoreggiare proprio nella sua camera. Didino non fa assolutamente niente per difendere Angela. E quando i due si rincontrano avviene per sola ed esclusiva iniziativa di Angela, poiché Didino non ha la forza di cercarla né di uscire dal proprio guscio. Un'indolenza crudele e insensibile.
In un certo senso il finale è dovuto e - in pieno stile Salce - è tutt'altro che conciliante e rassicurante. I personaggi sono uno più agghiacciante dell'altro. In primis naturalmente la spettacolare Mafalda (una prova da secondo Oscar quella della Kedrova) e il piagnucoloso Ferdinando (Villaggio qui dimostra di che pasta di attore è fatto, prima di diventare il ragionier Ugo), ma anche lo zio Alberto (Antonino Faà Di Bruno, futuro Conte Semenzara col vizio del gioco d'azzardo, quello di "....e la smetta di toccarmi il culo!"), col suo Parkinson tragicomico e la sua abiezione perfettamente adeguata al blasone della casata. Ci sono poi i due servi, Anchise e Driade, agnelli sacrificali, destinatari di dispetti pure fisici da parte della tirannica Mafalda. Driade muore addirittura per colpa (seppur indiretta) di Ferdinando. Angela deve subire la stessa cattiveria, con punizioni impossibili, tipo due mesi senza stipendio per aver rotto un servizio di tazzine da caffè giapponesi (mentre cercava di sottrarsi alle avanches di Alberto), o dover pagare di tasca sua il sapone per lavare i panni.
Il mondo che abita Ferdinando è fatto di lupi pronti a sbranarlo, fuori e dentro casa. Tra i vari predatori che lo assillano c'è anche una coppia di omosessuali (uno dei due è un suo ex compagno di studi, Guido Cerniglia) sempre alla ricerca di coinvolgere il timido Didino nei loro giochi erotici. Oppure c'è Jolanda (una Orchidea De Santis che si tenta invano di imbruttire) la quale, appena sposatasi (ma persino durante la cerimonia di nozze), flirta pressantemente con Didino. Di uno squallore avvilente le scene nelle quali il giovane conte amoreggia goffamente con delle bambole gonfiabili, suo unico possibile sollazzo libidinoso, o quando trascorre ore ed ore nel suo laboratorio fotografico privato, circondato di fotomontaggi improbabili e freudianamente assai inquietanti. E' proprio tra quelle gigantografie appese al muro che si può scorgere un ritratto di Hitler. Durante uno dei suoi scherzi perversi nei confronti della madre, si travestirà nottetempo da Führer per terrorizzarla (l'origine dei baffetti sotto il naso è notevole....). Classica scena in cui Villaggio può dar sfogo alla sua tipica parlata tetesca ti Cermania. In un'altra occasione assumerà le sembianze del padre morto intimando alla moglie di lasciare Ferdinando libero di andare in viaggio in Danimarca (paese dell'emancipazione sessuale, naturalmente).