Una Vergine In Famiglia

Una Vergine In Famiglia
Una Vergine In Famiglia

Con lo pseudonimo di Luca Delli Azzeri, Mario Siciliano firma soggetto e sceneggiatura di questa pellicola diretta dopo un paio di western (1972) e subito dopo il thriller Malocchio aka Eroticofollia. Una Vergine In Famiglia si colloca nel filone delle commedie sexy, assai in voga in quel decennio e tuttavia si fa carico di esprimere una qualche critica sociale al moralismo borghese e perbenista. La storia infatti sostanzialmente vede la giovane Anna (Franca Gonnella), fresca di ammissione all'Università, ribellarsi al giogo patriarcale esercitato dal siculo commendatore Vicini (Mario Colli), responsabile del C.E.I., Coordinamento Enti Inutili per conto del Ministero. Colli ha una tresca con la sua segretaria, una lolitina che sarebbe anche fidanzata ma non disdegna gli anellini che il commendatore le regala in cambio di qualche bel pomeriggio allegro e qualche stropicciata in ufficio. Poi c'è Luca (Luis La Torre), fratello infoiato di Anna che non se ne lascia scappare una, infine c'è lo zio Oreste (Enzo Andronico) che farebbe carte false per approfittare della bella Anna. La giovane è ancora illibata, come da precetto categorico paterno, ma una volta messo a fuoco che nessuno fa ciò che dice e che tutti affogano in una nauseante ipocrisia, Anna decide di sfidare le convenzioni e provocare continuamente  tanto il padre quanto chiunque la circondi. Il film viaggia dunque sul doppio binario, da un verso le solite nudità scollacciate a buon mercato, dall'altro l'alibi della guerriglia al conformismo ed al puritanesimo. La scena più forte in tal senso è quando la Gonnella si fa trovare nuda nello "scannatoio" dove il padre è solito incontrare la segretaria. Il commendatore varca la soglia, scorge davanti a sé uno splendido corpo spogliato, ma solo quando Anna si gira egli realizza che quella donna è sua figlia (che suppergiù ha la stessa età della segretaria), un tiro mancino che riempie di vergogna il maschio virile.

Un'altra scena forte per la verità è anche quella della perdita della verginità di Anna. Il ragazzo del quale sembrerebbe innamorata (con poca convinzione) si tira indietro proprio quando scopre che Anna è ancora vergine, dunque il valore supremo - secondo suo padre - si trasforma in un marchio opposto e contrario, negativo. Allora Anna decide di perdere la virtù con il primo che passa, ovvero un motociclista che le dà un passaggio. Durante l'amplesso Anna è visibilmente in sofferenza, certamente poco presa dal piacere, semmai dal dolore, anche perché il centauro è abbastanza rozzo. Al di là di questo, Una Vergine In Famiglia è piuttosto ambiguo, e soprattutto parecchio noioso. La componente comica è decisamente deficitaria (ammesso che Siciliano l'avesse effettivamente contemplata), quella sexy abbonda, e la cosa curiosa è che nei ricordi della Gonnella il film non contiene scene scabrose, neanche un nudo. Non la pensò così un tribunale dell'epoca che sequestrò il film e condanno regista e cast ad una pena detentiva. Tra le signorine assolutamente nude e ben disposte verso gli occhi voyeuristici dello spettatore c'è pure Femi Benussi nella parte di una cameriera che praticamente fa solo quello per tutto il tempo che è sullo schermo. La pellicola venne stigmatizzata in quanto avversa alla "istituzione" famiglia, perché in effetti ne smascherava le bassezze e la doppiezza; nell'Italia democristiana del 1975 la cosa non risultò graditissima, anche se la Gonnella dice che in tribunale addirittura tutti si complimentarono con lei per la sua "interpretazione". In finale, Anna decide di far coppia con il padre di uno dei suoi amici, ovvero Giorgio Ardisson, a significare che i ragazzotti suoi coetanei non sono all'altezza, ed anche in questo forse scardinando il "normale ordine delle cose". Fatto sta che Una Vergine In Famiglia è una pellicola che cerca di mescolare vari ambienti, l'inizio con la critica sociale, la parte mediana che diventa una specie di commediaccia agreste ed il finale dolce-amaro con la Gonnella sempre più imbronciata e pensierosa, ma terminati i 91 minuti lascia pochino addosso allo spettatore; come satira graffia pochissimo, come commedia non si ride, tuttavia quanto a nudità si abbonda (anche se tra uno sbadiglio e l'altro).

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