Un Fidanzato Per Mia Moglie

Un Fidanzato Per Mia Moglie
Un Fidanzato Per Mia Moglie

Un Fidanzato Per Mia Moglie può essere preso a modello paradigmatico dello stato in cui versa il cinema odierno italiano, segnatamente quello "simpa", giovante, fighetto, degli "autori", da contrapporsi alle commedie natalizie scorreggione dei Christian De Sica e dei Neri Parenti e, per altro verso, alle botte di entropia suicida degli altri "autori" (quelli non giovani ma impegnati), i Castellitto, le Mazzantini, i Nanni Moretti. Svisceriamo. Sulle prime Un Fidanzato Per Mia Moglie - remake dell'argentino Un Novio Para Mi Mujer del 2008 - sembra appunto un film simpatico, di quelli frizzantini che ti concederanno perlomeno un'oretta e mezzo di spensieratezza all'insegna dell'ironia (si spera un po' sagace e sottile). Salvo poi scoprire invece e purtroppo che è la quint'essenza del vuoto pneumatico.

Tanto per cominciare, alla maggior parte di questi cineasti gggiovani italiani (nei limiti, Marengo è del '72) sfugge totalmente la differenza tra comicità e macchiettismo; i personaggi deputati a far ridere sono sistematicamente (e solo) delle macchiette, non delle figure comiche. Il Gassman de Il Sorpasso, il Sordi de Il Vigile, il Mandredi di Per Grazia Ricevuta, il Tognazzi di Amici Miei, sono tutti personaggi comici (per altro venati da sfumature anche intensamente drammatiche, e qui aggiungiamo ulteriore peso al fardello), senza mai la deriva demenziale, buffonesca, superficiale e ottusamente stupidina delle macchiette delle commedie italiane contemporanee. Dipenderà dagli attori, dipenderà dai registi, dipenderà dalle sceneggiature, non so, l'unico trade union sicuro tra le pellicole che vengono prodotte oggi però è l'incapacità conclamata di avere una comicità di spessore anziché gag e sketch televisivi. E qui passiamo al punto successivo, ovvero il cast di derivazione catodica. Oramai il calderone da cui si pesca è Zelig, o tutt'al più Colorado. Stand-up comedian della tv - più o meno bravi, dipende anche dai gusti - che si guadagnano automaticamente un posto sul set, e che qui ripropongono pari pari i loro tic, i loro tormentoni, le loro caratterizzazioni, i loro monologhi, originariamente pensati per i 5 minuti di numero tra uno stacco pubblicitario e l'altro, introdotti dalla sminigonnata e procace presentatrice di turno.

Un Fidanzato Per Mia Moglie non fa eccezione, abbiamo Ale e Franz, Luca e Paolo, la stessa Geppi Cucciari, tutti visti prima in tv. Né si può sfuggire al politically correct, che naturalmente vuole il personaggio femminile ammantato di un titanismo intellettuale abbacinante. Di solito il maschio è carne da macello, la donna avrà magari pure lei le sue manie e le sue incongruenze, ma la morale del cinema italiano simpa e giovine (più come target che come produzione) italiano vuole che ella sia un animale intellettualmente superiore ed eticamente più corretto degli altri. Ciò non toglie che però si affoghi ugualmente in un mare magno di stereotipi, che sia il nord contro il sud, l'abuso dei dialetti, le tipizzazioni maschio vs. femmina, gli ansiosi (la psicanalisi è il nuovo deus ex machina del cinema italiano), i coatti, etc.. Il film di Marengo ci va a nozze con gli stereotipi: Kessisoglu è un pavido imbranato, il suo datore di lavoro è un attempato playboy impenitente (che ride come un cerebroleso ad ogni occasione), Ale e Franz sono due checche (non due gay, due checche), Bizzarri è l'estroso della situazione, la Cucciari è il personaggio minimamente più curato, sfaccettato, anche se, come detto, deve assolutamente lampeggiare sfacciatamente la sua poderosa statura umana su tutto il resto del teatrino di meschini. Questo anche perché il ruolo televisivo che si è costruita la Cucciari - per certi versi simile a quello della Littizzetto - si basa proprio su quel tipo di impostazione, quella che, dall'alto del suo Q.I., ti inchioda al muro con la battuta cinica e smaschera la tua pochezza (generalmente di maschio).

Se poi ci si sofferma ad analizzare la trama, al netto dell'originale argentino che non ho visto (né rimpiango di non aver visto), la storiella naviga nell'ovvio, tra dialoghi insulsi, banalità un tanto al chilo e una "personalità" registica che non riesce a farsi notare manco per un'inquadratura, uno scorcio, un bel cromatismo, un minimo vezzo di montaggio. Non c'è assolutamente nulla degno di nota in questa pellicola, che avrebbe potuto indifferentemente essere un telefilm di seconda serata su Italia 1, senza che se ne avvertisse l'inadeguatezza nel palinsesto. Ora prendete il ragionamento ed estendetelo ai film di Alessandro Siani, Checco Zalone, Bisio, gli immaturi, quelli delle notti prima degli esami, quelli che è colpa di Freud, le amiche da morire, etc., roba che Pieraccioni rischia di diventare Werner Herzog al confronto. E fa tristezza.

Trailer ufficiale

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