
Quella lenza irlandese di Pierce Brosnan non solo ha il merito - agli occhi del sottoscritto - di essere stato un credibilissimo, ironico ed elegante James Bond, ma ha pure l'ulteriore merito di essersi saputo e voluto riciclare come attore, senza rimanere schiacciato dalla Aston Martin di 007. Non solo, parallelamente al savoir faire da seduttore felpato, si è fatto carico di ruoli antipatici, più duri, anche da vero e proprio villain, come ad esempio nel caso di Surviror, pellicola che, va precisato subito, merita di essere vista solo e soltanto per la buona prova offerta dal suddetto Pierce. Per il resto siamo al conspetto di un titolo modesto, nonostante il regista sia quel James McTeigue tanto celebrato per V Per Vendetta. Siamo dalle parti di un thriller spionistico, con il ruolo di co-protagonisti appannaggio di Brosnan e di Milla Jovovich. Ora la Jovovich non funziona, le sue facce, la sua fisicità, si confanno discretamente per robe tipo Resident Evil e Ultraviolet (e ancora vivacchia di rendita per il Quinto Elemento del marito, poi ex marito, Luc Besson) ma, nonostante ci si intestardisca ad arruolarla per gli action movies, sulle doti interpretative non mi pare ci siamo granché. Di buono in Survivor c'è che la Jovovich non fa la Steven Segal della situazione, bensì il suo personaggio (un agente diplomatico statunitense) offre molte debolezze e fragilità. Fondamentalmente è in fuga per tutto il film, braccata dallo spietatissimo killer Borsnan che vuole farle la pelle poiché lei sa cose che non deve sapere, e soprattutto è d'intralcio all'apocalisse che il terrorismo sta per scatenare negli USA e conseguentemente nel mondo. Motore di tutto, i soldi. Niente politica o ideali vattelappesca, il caos è denaro.
Il film parte bene ma si arena molto rapidamente in dialoghi e situazioni banali, trattate con superficialità e risolte in modo grossolano. E' un po' tutto ovvio, la sceneggiatura deve andare dove deve andare, liscia come l'olio. Questa linea piatta viene almeno un po' fatta sussultare - per fortuna dello spettatore - dal brizzolato Brosnan ("l'orologiaio"), in vena di sguardi torvi e fucili di precisione spianati. I personaggi non hanno alcun approfondimento psicologico, sono figurine a due dimensioni che recitano dialoghi a macchinetta. Gli scambi "etici" tra la Jovovich e il suo superiore in grado, Dylan McDermott (super figaccione belloccio un tanto al kg), sono avvilenti, retorica da discount, frasi vuote impilate a iosa. Si parteggia apertamente per i criminali, e non è cosa buona. La nonnina paraplegica (e plenipotenziaria) dell'Ambasciata, che aiuta sempre e comunque la fuggiasca Jovovich, è una specie di bonus inesauribile al quale Milla e il regista ricorrono ogni volta che c'è da superare l'ostacolo. Gli agenti sulle tracce della - ingiustamente accusata - Jovovich sono un branco di inconcludenti; succede sempre la cosa giusta al momento giusto e nel modo più fortunoso. Ogni proiettile che non deve andare a segno non ci va. Alla fine tutto è bene quel che finisce bene, e allora dai, andate a quel paese e smettetela di prenderci per il culo perché a noialtri adolescenti del 1985 piaceva ripetere il commiato del berretto verde John Rambo, alla domanda del colonnellissimo Buttiglione Trautman: "Come vivrai Johnny? Giorno per giorno!".