A proposito di pellicole intrippate col fine millennio, non si può tacere di Strange Days, forse LA pellicola di fine millennio per eccellenza. Rispetto a titoli che si sono serviti della data storica per trattare in realtà poi di altro, Strange Days invece (da una canzone dei Doors) fa del passaggio epocale la sua ragione sociale, pur costruendo attorno alla fatidica data una trama, persino troppo complessa, di quelle che a raccontarle ci si perde in una spirale intrecciata, un po' fumosa ed emicrania "friendly". La coppia che presiede l'operazione, commercialmente riuscitissima (un incasso pari a circa 7 volte il costo del film, ovvero 63 milioni di dollari), è quella dei coniugi Bigelow-Cameron (che poi i coniugi sono stati tali per appena un trienno, '89-'91, eppure alla Bigelow il marchio è rimasto a vita, come se non dovessero esserle ascritti per intero talenti e meriti che invece ha ed in quantità abnorme). Strange Days è il film direttamente successivo a Point Break, anche se nel mezzo c'è la miniserie televisiva di Wild Palms. Mancano cinque anni al "grande 2000" e le visioni fantascientifiche e distopiche della Bigelow ci illustrano un immediato futuro fatto di violenza, notti sempiterne, conflitti sociali e stravolgimenti digitali delle nostre cortecce cerebrali.
Un ex poliziotto della narcotici (Lenny Nero - Ralph Fiennes) sbarca il lunario vendendo ai limiti della legalità esperienze sensoriali altrui. Mediante un lettore di "clips" (mini dischetti) ed un "dispositivo d'interferenza superconduttore quantum" (una specie di ragno di plastica da applicare sulla testa, con terminazioni digitali che vanno ad intercaffiarsi con il sistema neurovegetativo del cervello) chiunque può rivivere in prima persona brandelli di vita altrui (playback). Ovvio che esperienze sessuali, trasgressive e borderline siano le più gettonate tra la clientela, anche facoltosa, di Nero. Un giorno il pusher viene in contatto con un "blackjack", la riproduzione di un omicidio vero e proprio. Mentre tenta di capire chi lo stia coinvolgendo e in che cosa, Nero deve fronteggiare anche un affarista senza scurpoli di nome Philo Gant (Michael Wincott), in contatto con la malavita nonché padre-padrone della ex ragazza di Nero, la sbandatissima Faith (Juliette Lewis). Quando viene ammazzata la migliore amica di Faith, Nero cerca di proteggere la ragazza scontrandosi con la cricca di Gant. Il tutto nelle ore immediatamente precedenti alla fine del millennio, mentre Los Angeles è in fibrillazione perché la Polizia è fortemente indiziata di aver ucciso il più famoso rapper nero antisistema.
L'intreccio narrativo è si importante, ma comunque secondario al clima apocalittico, asfittico, tecno-convulso e surreale che la Bigelow va cercando (il film però l'ha montato Cameron, autore anche del soggetto), tanto da aver fatto scomodare a qualcuno l'etichetta di noir post moderno e cyberpunk. Diversi temi dell'oggi si trasferiscono nel futuro, come una sorta di profezia che poi si riverbera attualissima nel presente (da incubo) che stiamo vivendo, con interessi. La distonia tra realtà virtuale e realtà vissuta, la spersonalizzazione dell'individuo sempre più "calato" in vite ed esperienze per interposta persona, il conflitto sociale (la rivolta di Los Angeles a seguito del pestaggio di Rodney King, che aveva occupato tutti i Media per giorni e giorni, era del 1992), un senso di caos e di follia, che la tecnologia contemporaneamente genera e tenta di domare. Il personaggio di Tom Sizemore ad un certo punto si dice convinto che il mondo stia davvero per finire poiché "abbiamo già fatto e provato tutto", nulla può più essere inventato, scoperto, sperimentato, possiamo solo ripetere ciò che già c'è. Una visione mortifera e sterile dell'esistenza che in buona sostanza riflette le atmosfere vorticose e anarchiche del film. Nero è un tipo molto interessante, perché è in tutto e per tutto un perdente, un fallito, prende una fraccata di botte per tutto il tempo (è sempre col ghiaccio sulla testa) e si ingegna costantemente a trovare mezzucci squallidi per ottenere un qualche misero risultato. Discreto anche il personaggio di Angela Bassett, una specie di compendio di blaxploitation alla Pam Grier. La sceneggiatura è più stereotipata sul versante villain. La Bigelow ci frastorna sparando musica a tutto volume e mettendo in scena incessanti parentesi di guerriglia urbana, calcando anche un po' troppo la mano in questo senso, a mio parere. Ci sono scampoli (e citazioni) di Ridley Scott, Cronenberg, Verhoeven e John Carpenter nei fotogrammi di Strange Days, senza però alcun risvolto umoristico e grottesco (trademark tipico di tutti i nomi citati ad eccezione del serissimo Scott).
Sul versante tecnico, come sempre, il film è un manuale di artigianato hollywoodiano, con ideazioni di strumenti di ripresa appositi, prototipi ideati dalla Bigelow stessa e messi a punto per rendere al 200% l'idea della director (nello specifico, una pseudo mini steadycam in 35 mm grande quanto il palmo di una mano, per le riprese dei momenti "POV", point of view della "filo-conduzione", ovvero le connessioni con i frammenti di vita altrui). L'idea stessa delle soggettive, per come le brandisce la Bigelow, ha quasi la stessa importanza spartiacque che ha avuto l'estetica argentiana sull'argomento. In ambito action "digitale tecnotronico", dopo ci si è dovuti riferire obbligatoriamente alla Bigelow. La Polizia americana non ne esce benissimo, visto che perlopiù si tratta di brutalissimi picchiatori del tutto incuranti dei diritti della popolazione (ed il campione di questi è il caro vecchio commilitone Palla di Lardo di Full Metal Jacket, alias Vincent D'Onofrio), ed il film pare chiaramente parteggiare per la rivolta sociale. Il finale si spinge troppo oltre, nel senso che cerca a tutti i costi un happy ending ed una riconciliazione degli estremi, quando invece se fosse terminato nel climax dei tumulti avrebbe acquisito ulteriore potenza e nichilismo.
A conti fatti, Strange Days è un film interessante concettualmente e visivamente, ma non del tutto riuscito; mette in evidenza alcuni difetti, alcune debolezze che la Bigelow si concede (non ultima, alcune scelte di make up e costumi, la criniera di Tom Sizemore non si può veramente vedere) e che in qualche misura smussano un po' la forza "eversiva" della pellicola. In carriera Kathryn Bigelow ha costruito film (globalmente) più convincenti, anche se il suo tocco c'è e si sente (si veda la scena terribile dello stupro, che per ovvi motivi la Bigelow gira con mano decisamente diversa rispetto a quanto avrebbe fatto un collega maschio). Il doppiaggio italiano fa perdere anche dei gioco di parole, come quando Sizemore racconta di aver perso Faith (riferendosi a Juliette Lewis ma evidentemente anche alla "fede", la speranza di conseguire l'obiettivo), o come quando la segreteria telefonica di Nero esordisce ad ogni nuovo messaggio con "Ciao, sono Lenny Nero, che ti passa per la testa?". Celebre la presa per i fondelli di Nanni Moretti in Aprile ("hai mai zigoviaggiato?").