
Nel 1993 un filmetto molto glamour ma anche molto stupidino come Proposta Indecente fa un gran successo. Con furbizia, malizia e premeditazione giocherella con i limiti della sessualità di coppia, minacciata da una montagna di soldi e da un offerente che ha il viso irresistibile del piacione Robert Redford (uno dei suoi film alimentari). Si fa un gran parlare del "chi sarebbe disposto a", quale moglie non cederebbe, quale marito non lascerebbe correre. Sostanzialmente le Cinquanta Sfumature di allora. Ciclicamente Hollywood produce questo tipo di pellicole; nell'86 ve le ricordate le 9 Settimane E Mezzo? Film con pochissima sostanza ma assai abili a costruire per immagini l'erotismo (sempre senza esagerare, senza rischiare un pesantissimo divieto ai 18 che dimezzerebbe gli incassi). Visto l'hype che scatena Proposta Indecente, l'anno successivo la Warner Bros risponde per le rime alla Paramount con Rivelazioni, tratto dal solito libro di Michael Crichton, che vende i diritti per un milione di dollari, scrive la sceneggiatura e produce assieme al regista Barry Levinson.
Rivelazioni prova ad alzare l'asticella, non qualitativa però, semmai aggiunge ancora più opportunismo e cinismo all'impianto generale. Fuffa ma strategica, ovvero: prendere il tema delle molestie sessuali e rovesciarne la prospettiva, la donna di potere che assedia l'uomo, divenuto vittima. Doppiamente per altro, visto che (...stranamente eh) viene difficile credere che sia stata la controparte femminile a tentare di violentarlo, quindi parte già svantaggiato. Viene (non a caso, mi viene da pensare) scritturata sempre Demi Moore come protagonista, che quindi stavolta passa dalla fase passiva a quella attiva. Suo antagonista è Michael Douglas. Lo scontro epocale: sullo sfondo di una fusione tra aziende informatiche, orchestrata dal mefistofelico boss Donald Sutherland, la Moore e Douglas si contendono il posto di capo reparto a colpi di bassezze (...inguinali e uterine). Il duo Crichton/Levinson costruisce una storia politicamente scorretta e un po' misogina che fa leva su una questione morale, ma invertendo l'ordine degli addendi in questo caso il prodotto cambia, eccome. Douglas è un omino per bene, sempre per bene, disperatamente per bene. Ha una moglie (normale, proprio niente di che), due figli, fa favori ai dipendenti più bassi in grado, è collaborativo con i colleghi, va a lavorare col traghetto come un working class hero di tutti i giorni; al contempo è intelligente, creativo, fantasioso, entusiasta del suo lavoro, pensa positivo. Finché non viene trombato (intendevo professionalmente...ma la metafora va bene anche nell'altro caso).
Il rovescio della medaglia è l'aggressiva pantera Demi Moore, tacchi a spillo, gonna sopra il ginocchio, capello perfetto, bocca a cuoricino, sguardo penetrante, idee chiare (personaggio idealmente imparentato con la Catherine Tramell interpretata da Sharon Stone appena due anni prima in Basic Instinct). Lei lo vuole, lui tiene famiglia, lei se la lega al dito e ne prova di ogni per distruggerlo, mortificarlo, annientarlo, calpestarlo. L'inferno non ha la furia di una donna disprezzata - dice l'adagio e infatti, è guerra. L'azienda si schiera con la Moore (cioè il più forte), Douglas soccombe, tutto va in crisi, lavoro, famiglia, dignità. Fino al soccorso di un'avvocatessa "con le palle" (altro cliché terribile). - SPOILER: La roscia Perry Mason (Roma Maffia), agguanta il polpaccio e non lo molla fino a che la Moore non capitola, ma è solo un pre-finale perché ancora l'azienda medita di far defenestrare Douglas complottando contro di lui, facendo fallire una linea di produzione che metterebbe a repentaglio la fusione e quindi sostanzialmente allontanandolo per incompetenza. Ma Douglas se la cava anche in questo caso, grazie agli amici buoni; smaschera un'altra volta e definitivamente la Moore e costringe l'azienda a deporre le armi.
Quando ad un certo punto, non creduto dalla moglie, Douglas se ne esce fuori con una intemerata sui diritti della vittima delle molestie sessuali e del mobbing fa quasi tenerezza. Tralasciando che come la maggior parte degli attori americani è stato accusato di molestie sessuali, quel monologo in bocca sua stona come una giornata di lavoro di Belen Rodriguez in catena di montaggio a Mirafiori. Da spettatore maschio si prova imbarazzo. La polarizzazione dei personaggi è troppo marcata, stronza, ambiziosa, livorosa e libidinosa la Moore (con la sola attenuante di essere una figa spaziale), un povero Cristo con scritto "innocente" in fronte Douglas. Che poi la Moore sia perfetta per il ruolo è un altro paio di maniche; Annette Bening sarebbe dovuta essere la maliarda, ma rimase incinta prima delle riprese, così come si penso alla Pfeiffer e a Geena Davis, il resto è storia. Le musiche sono di Morricone e francamente se non ve lo avessi detto non ve ne sareste accorti. Il film soffre di una tediosa staticità di ambienti (personaggi quasi sempre chiusi nell'azienda) e propaganda pacchianamente un'attitudine beceramente yuppie.
Sul finale poi c'è una virata tecnologica con effetti speciali curati dalla Industrial Light and Magic; una specie di diversivo per ravvivare un po' lo script, che mi ha fatto pensare a Entrapment, che con i suoi reticolati laser giocava un po' la stessa carta (e pure lì il jolly era il sedere della Zeta Jones). Le dichiarazioni della Moore davanti al giudice ricordano invece quelle del Colonnello Jessep/Jack Nicholson in Codice D'Onore (altro film con la Moore), quando Tom Cruise lo porta esattamente dove voleva portarlo, solleticando il suo amor proprio. Infine, proprio come anticipato all'inizio, l'erotismo a cui si allude con tanta insistenza è del tutto assente nel film. La scena più osè che vedrete è esattamente quella della locandina (pruriginosamente pensata come tale), nulla di più, semmai si ricorre più abbondantemente ad un gergo pecoreccio che alle nudità.